L’incipit è già un programma ideologico: “non abbiamo invitato politici”. Una ouverture seduttiva che dichiara il buon intento della trasmissione, degna, da questo momento in poi, dell’attenzione del pubblico. E poi aggiunge, motivando: vogliamo proporre un programma “che non abbia dentro polemiche politiche”.
E’ la giornalista Lucia Annunziata a diffondere su Rai tre alle 14 di domenica scorsa, nel suo “In mezz’ora” dedicato alla tragedia di Parigi, questo importante messaggio, che racconta più di ogni altro la reputazione della politica nei media, anche quelli che fanno capo al servizio pubblico. E quando una figura che passa per gli studi televisivi può aver lasciato impressa nell’immaginario del pubblico un’idea di una qualche precedente appartenenza al mondo della politica, ecco immediata la correzione: “sarà presente anche Enrico Letta, ex politico, che è stato interpellato, però, come professore a “Sciences-Po” di Parigi”.
Insomma: signori, fate attenzione, qui la politica non c’entra. E se qualcuno in passato ha commesso l’errore di lasciarsi implicare, si sappia che si è pentito ed ha abbandonato la cattiva strada ed oggi è qui per questo.
Sia chiaro: considero la Annunziata un’ottima professionista ed anche una profonda conoscitrice del mezzo televisivo, peraltro da lei governato in posizione apicale ai tempi della presidenza della Rai, sulla base di una nomina politica. Sono del tutto persuaso, peraltro, della necessità di un drastico e sostanzioso dimagrimento della presenza di improbabili personaggi urlanti, provenienti dal mondo della politica nei talk show che infestano come funghi velenosi le tv italiane, pubbliche e commerciali e che, per fortuna, vengono visti, ormai,solo dai parenti più stretti dei conduttori. Ma è indubitabile che l’atteggiamento della giornalista si muove all’interno del racconto ormai accolto e digerito dalla pubblica opinione, in cui la politica in sé è considerata un disvalore e i suoi rappresentanti gravati dall’onere della prova di non essere incapaci, corrotti o tutte e due le cose insieme.
E’ l’accoglimento di una pedagogia antipolitica esercitata come regola e travasata in tutti i media più popolari, a cominciare dalla tv di Stato. Che dire? L’incessante mantra contro la politica (esemplari le piazze rutilanti di popolo incazzato che vituperano da Retequattro agli ordini di Del Debbio), pigro rifugio stilistico di un giornalismo che non si sforza di indagare e documentare ma rincorre il ventre della pubblica opinione, reca contributi enormi al progetto ‘destruens’ dei tanti populismi sparsi sulla scena nazionale. E concorre a distruggere la reputazione, si badi bene, non solo e non tanto del ‘politico pro tempore’ che probabilmente molto ha già fatto di suo per farsi male, ma, quel che è peggio, molto peggio, dell’istituzione che quel politico rappresenta. Il Parlamento.
Che resterà dopo la furia iconoclasta di questa pedagogia traversa? Il conduttore del talk, probabilmente. Candidato a qualche incarico politico.