La navigazione ambigua delle “sardine”
Le loro mobilitazioni si prestano ad un’idea di rianimazione di una cultura politica in declino
Il Movimento delle “sardine” si appresta a riempire di nuovo la piazza dove ha esordito a Bologna. Alla vigilia di una campagna elettorale di svolta, il cui risultato può rappresentare un rovescio per la sinistra di potere, la manifestazione programmata assume un significato più specifico e può fare gola a chi ha bisogno di rinverdire un appeal appassito o dimezzato.
Il loro protagonismo alla ricerca di una “politica” con la “P” maiuscola ha poco di neutrale e di innovativo a fronte di un linguaggio che ha per meta l’antisalvinismo e per colonna sonora un canto, Bella Ciao, i cui verbi sono coniugati al passato perché testimoniano una rivoluzione vissuta in altra stagione. Perciò, le loro mobilitazioni si prestano ad un’idea di rianimazione di una cultura politica in declino, diversamente dalle ispirazioni giovanili storicamente anti sistema e poco incline al rimescolamento di vecchie e nuove contrapposizioni.
Le rivoluzioni generazionali in ogni epoca hanno coniugato i verbi dei loro canti al presente o al futuro: dalla “Internazionale socialista” alla “Bandiera rossa” dei comunisti, da “Giovinezza primavera di bellezza” dei fascisti al “Biancofiore” dei cattolici democratici. “Una rivolta senza armi” è possibile, come cantava Francesco Guccini, ma se c’è una “generazione preparata ad un mondo nuovo”.
Le “sardine” ne sono preparate? Hanno le energie per camminare con le loro gambe o si mobilitano sulla scia della conservazione di quel mondo di relazioni che supportano le forze in atto insediate nei centri di potere con la “P” maiuscola?
Gli interrogativi sono d’obbligo sulla scorta degli endorsement che le accreditano come argine alle piazze delle forze di opposizione che stanno fuori dai palazzi del potere politico ed economico-finanziario. Nei media di larga tiratura, al di là delle suggestioni letterarie sulla simbologia del “pesce” contenuta nel messaggio cristiano, si intravedono ammiccamenti ed ambigui sostegni sin dalla nascita dello stesso movimento, sospeso tra il rifiuto dell’ingaggio partitico ed una scelta di campo ideologica riconoscibile nel panorama delle forze politiche operanti nel contesto delle sinistre.
Il dubbio riguarda il livello di genuinità accreditabile alla giovane età dei promotori e la loro effettiva originalità ed autonomia di pensiero e di azione. Riflettendo sui contenuti dei loro slogan non è infondato il sospetto di una regia che ne ha sceneggiato il copione sulla metafora collodiana di un Pinocchio fuorviato da Lucignolo ed ammaliato dal Gatto e dalla Volpe. Lasciando alla libera immaginazione l’individuazione degli ammaliatori, non si può non riconoscere alle mobilitazioni di piazza il fatto di avere suscitato una sorta di spirito di risveglio verso la politica finora disprezzata e maltrattata dai protagonisti di altro movimento nato con “cinque stelle” per scardinarne le istituzioni parlamentari, paragonate a delle scatolette di tonno, ed ora integrato nel sistema di potere.
Nel caso delle “sardine”, trattandosi di un movimento che si definisce giovanile, ci si aspetta una presa di coscienza che senza un’autonomia di pensiero non ci può essere alcuna elaborazione di riscatto generazionale.
“L’oblò della speranza” – riprendendo le parole di un emblematico cantore delle rivoluzioni generazionali, Bob Dylan – è sempre aperto “anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro”.