scritto da Pasquale Petrillo - 03 Luglio 2024 11:33

La Meloni e la “madre di tutte le riforme”

La necessità di assicurare all'Italia governi più stabili, coesi e duraturi è stata avvertita da sempre, fin dai primi anni della Repubblica. Non è affatto una novità, insomma

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, all’Altare della Patria. (foto tratta dal sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri)

Per i prossimi mesi uno dei temi del confronto politico nel nostro Paese sarà indubbiamente quello che la premier Giorgia Meloni chiama enfaticamente la “madre di tutte le riforme”. Stiamo parlando della legge di revisione costituzionale che introduce il cosiddetto premierato. Il Senato della Repubblica l’ha approvata in prima lettura a metà dello scorso mese di giugno. Per essere più chiari, non è altro che la riforma che porta all’elezione diretta del Presidente del Consiglio, al quale vengono attribuiti nuovi e molto più estesi poteri. Tra questi, uno molto delicato, quello in materia di scioglimento delle Camere.

La necessità di assicurare all’Italia governi più stabili, coesi e duraturi è stata avvertita da sempre, fin dai primi anni della Repubblica. Non è affatto una novità, insomma. Questo per dire che è una storia vecchia e conosciuta.

Un governo guidato da un presidente del Consiglio dotato di poteri alquanto forti nell’equilibrio costituzionale (pensiamo al premier inglese o anche al cancelliere tedesco) era impensabile, anzi, un’ipotesi da scongiurare per il nostro regime parlamentare. Ne venivamo, tanto per capire il clima di quegli anni dell’immediato dopoguerra, dal ventennio fascista con un capo del governo dittatoriale e onnipotente qual era stato il Duce.

E poi vivevamo nel clima della guerra fredda. Meglio non avere un governo nazionale dotato di particolari poteri visto che il suo controllo era in bilico tra le forze politiche di ispirazione occidentale, guidate dalla DC, e quelle della sinistra egemonizzate dal PCI di stretta osservanza sovietica. La paura di essere schiacciati politicamente da un governo forte era avvertita, per ragioni diverse e opposte, dall’intero panorama politico. Da qui la scelta di un Presidente del Consiglio, primus inter pares,  non dotato di particolari poteri.

Sta di fatto che il nostro regime parlamentare, con poche eccezioni, da sempre ha prodotto una frammentazione partitica e maggioranze di governo deboli. Da qui i vari tentativi, compreso quello odierno della Meloni, di mettere mano alla forma di governo, attraverso revisioni costituzionali. E, in subordine, di cambiare le leggi elettorali.

In estrema sintesi, il problema esiste. Ben prima della Meloni. Ed è più che corretto affrontarlo nel tentativo di risolverlo.

Questo per dire che proporre riforme costituzionali nell’intento di dare stabilità al governo e alle maggioranze, è a dir poco legittimo. E persino auspicabile. In ogni caso, non siamo al cospetto di un delitto di lesa maestà. Allo stesso tempo, sembra eccessivo stracciarsi le vesti ritenendo questa riforma come l’anticamera di un regime autoritario.

Detto questo, la riforma del premierato voluta dalla Meloni non ci convince affatto, anzi.

Appare, nel suo insieme, molto pasticciata e confusa. Più che la madre di tutte le riforme, a noi ci sembra essere la madre di altra e più grave confusione.

Il punto che più di tutti non convince è quello in cui si stabilisce che il premier è eletto direttamente dal popolo, ma non viene indicato come. Sarà infatti una successiva legge ordinaria a definire il sistema elettorale delle Camere. In modo tale, però, da assicurare al partito o alla coalizione dei partiti legati al Presidente del Consiglio il 55% dei seggi parlamentari. Garantendo così la governabilità.

La domanda sorge spontanea: quale sarà il quorum necessario per far scattare il premio di maggioranza? Sarebbe necessario a questo punto mettere in Costituzione alcuni paletti. Tra questi, di sicuro, l’indicazione della soglia minima dei voti per far scattare il premio di maggioranza.

A questo proposito, è utile ricordare un’altra legge che prevedeva un premio di maggioranza, consistente nell’assegnazione del 65% dei seggi alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse superato il 50% dei voti validi. Come si vede un quorum altissimo che non scattò per pochissimi voti. Per la storia, i partiti capeggiati dalla Dc ebbero il 49,8% dei voti. In altre parole, il meccanismo previsto dalla legge non scattò per circa 54.000 voti. Un’inezia: appena lo 0,2% dei suffragi.

Eppure questa legge fu chiamata dalla sinistra di allora legge truffa e con questo nome passò alla storia. E allora andavano a votare quasi tutti gli elettori. Figurarsi adesso, con oltre il cinquanta per centro di astensioni. Fermo restando, ovviamente, il fatto che chi va a votare decide legittimamente anche per chi diserta i seggi elettorali. Ciò detto, ci sembra auspicabile trovare i necessari accorgimenti per non correre seriamente il rischio che un’esigua minoranza di elettori possa determinare la vittoria ed un premio. Da qui, come si vede, l’estrema delicatezza della materia.

Un altro aspetto non meno delicato è quello dell’equilibrio dei poteri. Un rafforzamento del ruolo del presidente del Consiglio, per quanto auspicabile, non può avvenire a discapito soprattutto del Parlamento. E’ immaginabile un premier eletto direttamente dai cittadini così come le due Camere, composte, però, non da eletti bensì di nominati dai capi partito, come avviene adesso? Quale reale autonomia e dignità parlamentare avrebbero, rispetto al premier eletto dal popolo,  deputati e senatori già adesso ridotti, con le liste bloccate, in uno stato di soggezione rispetto ai partiti?

Quest’ultima non è una questione secondaria. Tutt’altro. E’ un tema delicato che riguarda l’attuale assetto istituzionale, che la riforma del premierato la aggraverebbe irrimediabilmente.

Quali saranno gli sviluppi futuri di questa riforma attualmente in itinere? Impossibile prevederlo. L’auspicio è che il confronto abbia il sopravvento sullo scontro attuale. In altre parole, tornerebbe utile se maggioranza e opposizione dialogassero su questa riforma. La questione del rafforzamento dei poteri del premier, della stabilità del governo e delle maggioranze, come abbiamo scritto in precedenza, è un tema da sempre presente nel dibattito politico del nostro Paese. D’altro canto, ad oggi non può essere sottaciuto il disappunto per la circostanza che questioni estremamente vitali, come quella che affronta la riforma del premierato, siano portate avanti a colpi di maggioranza, tradendo l’insegnamento dei padri costituenti.

Un confronto allargato e il più ampio possibile, infatti, porterebbe a riforme condivise e molto probabilmente a meno errori e recriminazioni. Ne è un esempio attualissimo, l’autonomia differenziata, di recente approvata dalla maggioranza di centrodestra, che ha così inteso dare attuazione al terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Una legge, quella dell’autonomia differenziata, che è il frutto avvelenato di una riforma costituzionale, quella del Titolo V, voluta dal centrosinistra nel 2001. A colpi di maggioranza. Nell’illusorio tentativo di rincorrere politicamente la Lega Nord di Bossi.

In conclusione, ci auguriamo che agli italiani non siano proposti altri frutti avvelenati, bensì soluzioni vere e concrete ai loro problemi.

Giornalista, ha fondato e dirige dal 2014 il giornale Ulisse on line ed è l’ideatore e il curatore della Rassegna letteraria Premio Com&Te. Fondatore e direttore responsabile dal 1993 al 2000 del mensile cittadino di politica ed attualità Confronto e del mensile diocesano Fermento, è stato dal 1998 al 2000 addetto stampa e direttore dell’Ufficio Diocesano delle Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi Amalfi-Cava de’Tirreni, quindi fondatore e direttore responsabile dal 2007 al 2010 del mensile cittadino di approfondimento e riflessioni L’Opinione, mentre dal 2004 al 2010 è stato commentatore politico del quotidiano salernitano Cronache del Mezzogiorno. Dal 2001 al 2004 ha svolto la funzione di Capo del Servizio di Staff del Sindaco al Comune di Cava de’Tirreni, nel corso del 2003 è stato consigliere di amministrazione della Se.T.A. S.p.A. – Servizi Terrritoriali Ambientali, poi dall’ottobre 2003 al settembre 2006 presidente del Consiglio di Amministrazione del Conservatorio Statale di Musica Martucci di Salerno, dal 2004 al 2007 consigliere di amministrazione del CSTP - Azienda della Mobilità S.p.A., infine, dal 2010 al 2014 Capo Ufficio Stampa e Portavoce del Presidente della Provincia di Salerno. Ha fondato e presieduto dal 2006 al 2011 ed è attualmente membro del Direttivo dell’associazione indipendente di comunicazione, editoria e formazione Comunicazione & Territorio. E’ autore delle pubblicazioni Testimone di parte, edita nel 2006, Appunti sul Governo della Città, edita nel 2009, e insieme a Silvia Lamberti Maionese impazzita - Comunicazione pubblica ed istituzionale, istruzioni per l'uso, edita nel 2018, nonché curatore di Tornare Grandi (2011) e Salerno, la Provincia del buongoverno (2013), entrambe edite dall’Amministrazione Provinciale di Salerno.

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