La felicità è quel sentire che si fa tendenzialmente corrispondere alla realizzazione del proprio essere, dei propri desideri e del proprio star ‘’bene’’. Parole che suonano certamente semplici, ma la felicità una volta uscita dalla sua definizione semantica può risultare, così come per tutto ciò che riguarda lo spettro dell’umano sentire, ben più complessa. La faccenda diventerà poi ancora più complessa, nel momento in cui a breve tenteremo di definire l’evoluzione di tale sentire nel corso degli ultimi decenni, tentando di rispondere alla domanda: ‘’ Eravamo più felici prima?’’.
Se la l’esser felici coincide davvero con la realizzazione di sé, sarà necessario per mettere a confronto la felicità di ieri con quella di oggi comprendere anche quelle differenze che man mano sono andate creandosi nel nostro modo di realizzarci e definirci.
Siamo animali sociali, concretizziamo le nostre differenze e le nostre somiglianze proprio nel confronto con l’altrui persona, ed è a questo punto consequenziale che tale realizzazione richieda il raggiungimento di obiettivi comunemente ritenuti ‘’felici’’.
Ma le mode, i desideri, le conoscenze e il modo di rapportarsi alla vita è, fortunatamente, in costante evoluzione, ponendo ogni giorno nuovi modi di essere ciò che siamo.
C’è da dire però che questa evoluzione tende a porre un accento sempre più pesante su due aspetti al giorno d’oggi fondamentali ed imprescindibili: velocità e successo. Se prima bastava confrontarsi nel proprio operato con chi corrispondeva alla cerchia viva delle nostre conoscenze, adesso quella che prima era una marcia comune verso i propri obiettivo è diventata una competitiva corsa con il mondo che diventa sempre più pubblico, pubblico sia nel senso di spettatore che nel senso di proprietà comune.
Non basta più fare ed essere, devi essere il prima possibile e fare meglio di tutti, non serve più dare ed ottenere, devi dare più di tutti e ricevere il più possibile. Tutto ciò che prima era considerato un più inizia a diventare il minimo indispensabile, non basta essere felici, gli altri devono riconoscere la tua felicità come tale, tramutando quell’iniziale star bene con se stessi un dover star bene nei termini e nei modi che sono universalmente riconosciuti come felici, ed è da questa ultima conclusione che potremo ricavare una risposta a quella iniziale domanda che ci eravamo posti.
Non eravamo più felici prima, ma eravamo semplicemente d’accordo sul ritenere la felicità come lo star bene con noi stessi, per noi stessi, a noi stessi, in un unico distinguo rispetto al presente che ha tramutato tale ricerca della felicità in un mostrarci felici attraverso le regole che, inconsciamente, abbiamo definito.
La sfida non corrisponde più con l’essere noi stessi anche a costo di scontrarci con gli altri, ma esserlo riuscendo a non curarci degli altri, dovendo assolutamente riportare alla memoria che ognuno di noi è nella sua vita ciò che è per sé, come se ognuno di noi fosse un pianeta a se stante, con un suo sole ed una sua luna, le quali ombre e luci non dipendono da una figura che paradossalmente ci oscura con la sua lontananza o ci illumina con la sua vicinanza, ma da quella luce che può brillare solo se la sua fonte siamo noi.