Il sottosegretario Vito Crimi va alla guerra contro l’Ordine dei giornalisti
E’ guerra a tutto campo tra Governo gialloverde e giornalisti. A sparare il primo colpo è stato il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’Informazione e all’Editoria, Vito Crimi, il quale, senza troppi peli sulla lingua, ha espresso l’intenzione di abolire l’Ordine dei giornalisti. Comprensibile, quindi, a questo punto, la reazione stizzita di Carlo Verna, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti.
A voler essere precisi, però, Crimi ha chiarito che attende il processo di autoriforma e che solo in seguito ci saranno le valutazioni del governo, non escludendo, a quel punto, l’eventuale abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Per la verità, il sottosegretario Crimi affronta un problema molto serio e di estrema attualità, quello delle nuove professioni, sostenendo che «c’è l’insieme dei comunicatori, dei social media manager, tutto un nuovo tema: non è solo l’informazione condivisa, ma un’informazione nuova e diversa con strumenti diversi». In effetti, rispetto al mondo professionale degli anni Sessanta del secolo scorso, quando cioè venne fondato l’Ordine dei giornalisti, le trasformazioni che si sono avute sono state a dir poco enormi. C’è stata un vera e propria rivoluzione professionale che fa apparire la professione giornalistica, così come la si viveva fino a qualche decennio fa, terribilmente superata. E con essa l’Ordine.
Insomma, il problema di riformare se non proprio abolire l’Ordine dei giornalisti esiste per davvero ed è proprio fuori luogo parlare di minaccia alla libertà di stampa, di fascismo e di altre idiozie del genere. Sul ruolo dell’Ordine, sui suoi compiti e funzioni, sulle nuove professionalità, sulla tutela della dignità anche economica così come sull’autonomia e libertà degli operatori dell’informazione, è al contrario indispensabile un confronto a tutto campo. In altre parole, il problema esiste e va affrontato a viso aperto.
E’ inutile, infatti, mettere la testa sotto la sabbia: in Italia la tutela dell’informazione e degli iscritti presenta fin troppe zone d’ombra. In una recente ricerca internazionale, l’Italia si colloca al 52esimo posto nella libertà di stampa. Non è un gran risultato, soprattutto per l’Ordine dei giornalisti. Anzi, nonostante l’Ordine dei giornalisti. E viene davvero da pensare se effettivamente serve a qualcosa.
E’ altrettanto vero, inoltre, che in Europa non c’è bisogno di nessun Ordine per esercitare la professione di giornalista. E l’accesso alla professione, come ci spiega Carlo Marino, giornalista non iscritto all’Ordine, accreditato in Germania, oltre che scrittore e blogger, «continua ad avvenire nella gran parte dei paesi UE anche sul campo. Per strada, come diceva Indro Montanelli a chi volesse fare il giornalista: “si compri un bel paio di scarpe comode, per cominciare”». E ancora: «Ad ogni modo è prassi presentarsi a un editore, proporre la propria esperienza, il proprio curriculum, mettere in luce la propria passione per il mestiere, e si entra nel mondo dell’informazione… Senza la necessità di un ordine professionale».
E’ un altro mondo, in tutti i sensi. E di sicuro non è che basti liberalizzare la professione, viste come sono enormi le distanze in termini socio-economici oltre che culturali tra il nostro Paese e buona parte dell’Europa. La verità è che restiamo, anche nel giornalismo, dei provinciali.
In conclusione, nel mondo del giornalismo c’è molto da cambiare. Una cosa appare certa: occorre uscire dalla logica burocratica del pezzo di carta, del tesserino. Giornalista lo è chi la esercita la professione e non chi è iscritto all’albo e basta. E le tutele vanno innanzi tutto trovate in norme ad hoc e in accordi sindacali. E soprattutto, per assicurare al massimo l’autonomia e la libertà, va rivista la legge sull’Editoria, favorendo e sostenendo l’editoria pura, contrastando, al contrario, in modo decisivo quella impura, ovvero le proprietà editoriali nelle mani di grandi gruppi: industriali, bancari, commerciali, talvolta politici. In ultimo, i giornalisti professionisti o comunque quelli (pubblicisti ma non professionisti) che in ogni caso non esercitano altre professioni o impieghi, vanno tutelati con estremo rigore, sia da un punto di visto professionale che economico. Tanto per intenderci, nel settore pubblico, così come nel privato extra-editoriale, l’attività di comunicazione e informazione a tutti i livelli deve essere svolta esclusivamente non solo da chi ha i titoli e più ancora le competenze, ma riconoscendo loro anche un compenso dignitoso e adeguato, oltre che commisurato alla professionalità, e non come ora gli spiccioli.
Poi, che l’Ordine dovrà ancora esistere o invece essere abolito, si vedrà. Di certo, va profondamente riformato perché come è adesso, per quel che vale e conta, serve davvero a poco.