In questi giorni, lo confesso, vedendo la disfatta politica ed elettorale di Renzi e del Pd (o forse è più corretto del Pd di Renzi?), mi è venuto in mente il titolo della stupenda colonna sonora musicata da Clint Mansell per l’omonimo film di qualche anno fa: Requiem for a Dream. Requiem per un sogno. Il sogno di Renzi, di un Pd giovanile, rampante, riformatore. Il sogno di cambiare il Paese, cominciando con il rottamare la vecchia classe dirigente del Pd, in particolare, quella post comunista.
Beh, ammetto, come cittadino e non come elettore, di essere tra quelli che in un primo momento ci hanno creduto o, quantomeno, una qualche speranza ce l’hanno riposta. Poi, le cose sono andate come sappiamo e il rottamatore è stato rottamato dagli elettori. Inevitabilmente, purtroppo, perché Renzi ha avuto la capacità di farsi odiare politicamente persino da chi dalla sua lunga permanenza a Palazzo Chigi ha avuto benefici.
E il Pd con lui.
Sulla possibilità che Renzi possa in futuro avere un ruolo politico e istituzionale altrettanto rilevante, qualche dubbio c’è, ed anche abbastanza consistente. Altra storia è per il Pd che oggi è messo assai male e che rischia, in prospettiva, di andare anche peggio, ma che, tuttavia, ha le potenzialità per avere ancora un ruolo di primo piano nel panorama politico nazionale. Vero è che più velocemente e più intensamente diventa il meno possibile renziano, più ha i numeri per rilanciarsi. C’è molto da ripulire e sistemare, questo sì, sono troppi i ras locali e i cacicchi di quartiere che vanno liquidati, ma ci sono anche tante potenzialità, alcune espresse, altre ancora no.
Certo è che il Pd deve evitare di ritirarsi sull’Aventino. E’ scontato che non può reggere il moccolo ai Cinque Stelle e neanche al centrodestra, tuttavia, per forza di cose deve giocare un ruolo per formare un governo istituzionale, o come altro lo si vuole chiamare, di scopo, del presidente, e via di questo passo. Tanto una cosa è scontata, nessuno ha i numeri per formare un governo, pur tuttavia qualcosa bisogna inventarsi per non andare di nuovo a votare fra tre mesi e con questa legge elettorale. E, se così fosse, il Pd alle nuove elezioni rischierebbe di scomparire come i socialisti in Francia, ad esclusivo beneficio di Salvini e dei pentastellati.
Sembra strano ma il Pd, proprio perché è un po’ come il terzo incomodo, ha la possibilità di dettare tempi e condizioni per dare una prospettiva a questa legislatura che è votata quasi inevitabilmente all’ingovernabilità. Il ministro Franceschini, tanto per fare un esempio, sembra avere le idee chiare in proposito, ritenendo che questa legislatura possa, al contrario, essere l’occasione non solo per rifare, tutti insieme o con chi ci sta, una nuova legge elettorale, ma anche avviare una riforma istituzionale per far funzionare un sistema che fa acqua da più parti e da tempo, puntando, tra l’altro, ad avere una sola camera, licenziando per una volta per sempre il doppione del Senato.
In conclusione, su una cosa il reggente vicesegretario del Pd Maurizio Martina ha indiscutibilmente ragione, citando Churchill, quando ha affermato che “il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta”.
Il coraggio, però, bisogna davvero averlo, dimostrarlo in concreto e riempirlo di contenuti. E non è facile, soprattutto quando sono tanti i ducetti, i furbetti, le rendite di posizione e le cattive abitudini, che ingombrano il cammino. Ma non c’è altro da fare per il Pd, se non tentare…
14.03.2018 – By Nino Maiorino – Bravo, Direttore, piena condivisione: anche per la citazione di Churchill “il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta”; speriamo che chi deve ascoltare, ascolti.