Archiviato, non senza qualche mugugno e molte preoccupazioni, l’esito del referendum del 23 giugno scorso, col quale il Regno Unito ha scelto, in verità con risicata maggioranza, di uscire dall’Unione Europea, e con la vigile attenzione al braccio di ferro iniziato tra il Regno Unito e la U.E. sui tempi e le modalità di tale “exit” (sembra che il Regno Unito voglia prendersela comoda, quasi pentita dall’aver promosso quel referendum, mentre l’U.E. vuole affrettare l’iter per non portare alle calende greche la questione), è opportuno, nonostante la situazione sia talmente fluida da non consentire una analisi definitiva della questione, esaminare qualche aspetto importante di questa uscita.
“È stato incauto promuovere questo referendum e affidare ad un no o ad un sì problemi tanto complessi. Hanno quindi prevalso elementi emotivi – ha detto l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ed ha aggiunto – è un colpo molto duro con elementi di destabilizzazione economica e politica“. Ed ha concluso “I referendum, nella nostra Costituzione, non possono essere convocati sui trattati internazionali, perché temi così complessi non possono essere affidati ad un voto superficiale e impulsivo”.
Mai, quindi, scelta fu più dissennata, e ora ci si interroga sul perché Cameron ha acconsentito al referendum: ha giocato male le sue carte, ha affossato la sua carriera, ha affossato il suo paese, ha fatto venire meno un pilastro dell’Unione Europea e ha innescato un meccanismo che forze politiche di altri paesi tenteranno di seguire: basti pensare alla destra di Le Pen in Francia e alla Lega Salvini e ai Grillini in Italia.
Comunque, cosa fatto capo ha; vedremo i futuri sviluppi, anche se la Brexit non sembra definitiva. Infatti, i tre milioni di firme richiedenti un nuovo referendum popolare in Gran Bretagna per decidere sullo stesso tema non sono da sottovalutare e testimoniano l’amarezza di quel popolo per un risultato per niente condiviso.
Occorre anche aggiungere l’esplicita volontà della Scozia, che ha votato in massa per rimanere nell’Unione Europea, di non accettare il responso dell’intero Regno Unito che, nei fatti, ha annullato e stravolto la maggioritaria volontà degli scozzesi: la Gran Bretagna, già solo per questa delicata situazione, rischia di implodere.
Il nostro Premier Renzi, sempre più presente sullo scenario europeo, oramai interlocutore stabile della Merkel, di Hollande e di Junker, qualche giorno addietro, nel corso del vertice dei capi di Stato e di Governo europeia Bruxelles, dedicato proprio all’uscita di Londra dalla UE, ha dichiarato: “Stiamo discutendo, affronteremo eventuali emergenze, ma i cittadini siano consapevoli che non c’è alcun rischio per i loro risparmi”.
Il nostro Premier non parla a vanvera, è chiaro che ha voluto trasmettere un segnale agli italiani e anche all’ U.E., tant’è che poco dopo è seguito uno scontro con Angela Merkel.
Renzi ha poi aggiunto: “Ho portato la voce dell’Italia al Consiglio UE post Brexit. Vogliamo un’Europa sociale che parli di volontari, cultura, asili nido. Non solo banche e burocrati”.
Può suonare strano che Angela Merkel inviti a non essere troppo duri con la Gran Bretagna, attestata su una linea diversa da quella del suo ministro delle finanze Wolfgang Schauble che vuole evitare che una uscita senza costi dalla Unione europea possa favorire le destre populiste, che vorrebbero lasciare l’Unione.
E mentre il presidente del parlamento europeo, Martin Schulz, vuole un nuovo inizio della Europa, Merkel e Schauble non sono disposti a fare concessioni sulla sovranità; e nel frattempo si torna a parlare di Europa a due velocità.
I Premier Matteo Renzi e Francois Hollandehanno individuato tre fronti per rispondere alla Brexit nell’incontro del 27 giugno: sicurezza,immigrazione ed economia.
Per rilanciare l’economia si propongono nuovi investimenti pubblici da scorporare dal patto di stabilità, con l’obiettivo di evitare pesanti manovre finanziarie in vista delle elezioni francesi. E Mario Draghi Presidente dellaBcefornisce di liquidità i mercati, finanziando le banche.
Per l’immigrazione si propone di rafforzare il Migration Compact per i paesi dell’Africa.
Per la sicurezza si propone un progetto di difesa comune, che unisca gli eserciti di Germania, Italia, Polonia e Francia e il rafforzamento della Nato.
Con la uscita dall’UE la Gran Bretagna pagherà di più per continuare a fare parte del mercato comune europeo, e della Commissione europea al servizio della Unione, cosa della quale non potrà fare a meno: dovrà rinegoziare i trattati commerciali da membro esterno e ciò le costerà.
Già ora la Gran Bretagna subisce i primi effetti della uscita dalla Unione europea: la lira sterlina si sta deprezzando, i mercati finanziari non sono più sicuri.
Entrano in gioco anche l’aumento dei tassi d’interesse, l’aumento degli interessi sui titoli di stato, l’aumento del debito pubblico.
Gli investimenti immobiliari in Gran Bretagna non sono più convenienti perché le istituzioni finanziarie stanno spostando le loro sedi da Londra verso le altre capitali europee, mentre il sistema economico della Unione europea dovrebbe essere più resistente per tre motivi: la migliore capitalizzazione delle banche, le maggiori liquidità delle banche centrali, e le maggiori liquidità per i titoli di stato.
L’anello debole della catena sono, purtroppo, i titoli bancari in rapporto alla esigenza delle banche di aumentare il capitale.
In conclusione: poche certezze, tanti dubbi, molte nubi all’orizzonte; questa estate, già calda di per se, sarà ancora più “calda” per l’effetto Brexit.