scritto da Luigi Gravagnuolo - 09 Ottobre 2019 11:30

 I giallo-rosa

Il Presidente Sergio Mattarella in occasione della cerimonia di giuramento del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e dei membri del nuovo Governo (foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Il governo giallo-verde non è caduto per l’incompatibilità tra Salvini e Di Maio, che pure non si sono amati, ma perché, dopo aver fatto strame dei conti pubblici, non se la sono sentita di mettere la propria faccia sulla manovra finanziaria necessaria per ripararne i danni. Peraltro, nel caso di permanenza del loro screditato governo, la manovra sarebbe stata davvero sanguinosa. Nessuno tra i creditori dello Stato italiano infatti, né i gestori istituzionali né i privati, era più disposto ad accontentarsi di chiacchiere: ‘vedrete, cresceremo e prima o poi vi pagheremo, etc…’. Esigevano che lo Stato italiano restituisse loro quanto gli avevano prestato, punto.

C’era poi un’altra minaccia, questa per la casta. Il nove settembre sarebbe andata alla Camera in quarta e definitiva lettura la riduzione del numero dei parlamentari. Poi si sarebbe votato in primavera. Quanti avrebbero potuto sperare di rimettere più piede in Parlamento? Per bloccare la riforma c’era un solo modo, la fine della legislatura. Perciò ad agosto in tanti – nel mio piccolo anche io tra questi – ci eravamo convinti che stavamo alla vigilia dello scioglimento delle Camere. Senza trascurare che appariva impensabile un governo 5Stelle-Dem, fino ad allora irriducibili antagonisti.

Il voto anticipato non sarebbe stato un male. L’Italia avrebbe avuto un governo rappresentativo della maggioranza della popolazione, cioè un governo di destra, e Salvini, che lo avrebbe guidato, non avrebbe potuto eludere la responsabilità della manovra. I dem di Zingaretti, per parte loro, avrebbero conservato o minimamente rafforzato la propria compagine parlamentare, con il vantaggio che il segretario si sarebbe liberato dall’ipoteca renziana, detentore della maggioranza nei gruppi. In definitiva l’unico che sarebbe stato veramente penalizzato sarebbe stato Matteo Renzi;  lui, col voto anticipato, sarebbe scomparso dalla vita politica italiana.

Sono invece prevalsi altri ragionamenti. Innanzitutto, la preoccupazione dei poteri globali – non so definirli in sintesi diversamente – per l’asset management delle grandi holding dello Stato italiano, da ridefinirsi in primavera, e soprattutto per la nomina del nuovo Capo dello Stato prevista per gennaio 2022. E poi, nessuno aveva fatto i conti con la spregiudicata disinvoltura di Matteo Renzi. L’ex premier fino all’otto agosto se n’era stato in un angolo, forte della maggioranza dei parlamentari nei gruppi dem, quindi capace di condizionarne le scelte senza metterci la faccia. E, fino ad allora aveva usato quella forza solo per bloccare ogni minimo tentativo degli zingarettiani di aprire un dialogo con i 5Stelle. Nessuno si aspettava il colpo di scena, Renzi fautore addirittura di un governo a guida Di Maio pur di scongiurare il voto ad ottobre.

Così il ‘Matteo buono’ prima ha determinato la nascita del governo Conte-bis, poi dopo aver incassato ministri e sottosegretari, ha lasciato il Pd ed ha fondato un nuovo partito. Gli ha messo nome Italia Viva.

Per le tasche degli Italiani non è stato un cattivo affare. I detentori del nostro debito hanno immediatamente dato credito al nuovo governo, rinviandone di qualche anno la riscossione – la cosiddetta flessibilità – e la manovra in itinere sarà certo dura, ma non drammatica. Le istituzioni nazionali ed europee, per parte loro, sembrano ora più stabili, mentre l’Italia sta riacquistando un po’ di serenità. Non è poco.

Resta però il vulnus di un governo che  in Parlamento gode di una maggioranza (trasformista), ma è in forte minoranza nel Paese. E la beffa che il principale responsabile del disastro finanziario, dico Salvini, se ne può lavare le mani addirittura incolpando della manovra il nuovo governo.

Ma la cosa peggiore è il discredito della politica in quanto tale. Ora è evidente, essa è mero appannaggio dei furbi e dei prestigiatori degli inciuci. Chi crederà ancora alle parole dei politici?

Luigi Gravagnuolo, giornalista, scrittore, docente ed esperto di comunicazione. E' stato Sindaco di Cava de’ Tirreni dal 2006 al gennaio del 2010, quando si dimise per andare al voto con un anno di anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato.

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