Con la morte del novantenne Dario Fo viene a mancare uno dei rappresentanti di una arte arguta e dissacrante, dichiaratamente schierata “contro” (contro il sistema, contro la religione, contro l’ordine costituito) che ha suscitato sentimenti contrastanti, al pari di quelli suscitati per le sue numerose opere e performances teatrali che l’hanno reso celebre in tutta Europa, e per alcune delle quali è stato anche insignito, nel 1979 del Premio Nobel per la letteratura, da più parti contestato.
Quel Premio Nobel suscitò non poche polemiche, sia perché l’arte letteraria di Dario Fo rispecchiava il suo carattere ironico e il suo stile dissacrante, sia perché le sue opere sembravano, all’epoca, troppo all’avanguardia e in tanti casi irrispettose del comune sentire; ovviamente questa considerazioni non debbono aver influito su una giuria che si limita a valutare il valore letterario dei testi, ma è incontrovertibile che, se quei testi offendono il comune sentire della gente, l’autore non sarà amato se non da pochi estimatori, una frangia di simpatizzanti appartenente all’area della contestazione della quale Dario Fo è sempre stato un punto di riferimento.
D’altronde, sulla valutazione del personaggio ha influito molto la sua storia, e se, negli anni della maturità è stato costantemente schierato per la sinistra più spinta e reazionaria, non si possono dimenticare le sue originarie idee e ideologie che lo avevano portato ad essere un simpatizzante della Repubblica di Salò per la quale sembra si sia macchiato di alcuni crimini.
Tant’è che Oriana Fallaci, spirito libero della letteratura e del giornalismo italiano, apprezzatissima in Italia e all’estero, non aveva alcuna stima e simpatia per il Nobel Fo, e giunse ad accusarlo di essere stato voltagabbana, giacché, da militante del peggiore fascismo, quello della Repubblica di Salò, che aveva commesso orrendi crimini contro italiani anche inermi (lo stesso papà della Fallaci venne preso, imprigionato e orrendamente torturato), divenne poi sostenitore e ispiratore di movimenti dell’ultra-sinistra, che non ha mai abbandonato, anche se, negli ultimi tempi, era diventato anche fan e un simbolo del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
Ma la morte appiattisce (giustamente?) le passate esperienze, pure se negative, tant’è che si dice che le iscrizioni sulle lapide cimiteriali fanno sembrare tutti i defunti degli angeli, e pure i peggiori criminali sembrano aver acquisito, post-mortem, un’aureola di santità (sic!).
Ma nel caso specifico di Dario Fo un macigno sembra gravare sui suoi trascorsi, ed è proprio per la denuncia fatta da Oriana Fallaci, nella quale sembra adombrarsi addirittura un ruolo attivo di Dario Fo in alcuni episodi di violenza, tant’è che l’aveva appellato: “Fascista prima nero, poi rosso”.
Io non ho mai amato Dario Fo, del quale non ho mai condiviso né l’irritante comicità e irriverenza, e talvolta nemmeno il linguaggio, ma non dimentico che Dario Fo è stato oltre che un attore, cabarettista, e intrattenitore caustico di folle, anche un pittore, autore teatrale, scrittore: d’altronde un premio Nobel non viene certamente assegnato per “gag” teatrali. Almeno lo si spera.
Tuttavia, c’è chi, nutrendosi ancora del pane e latte dell’ultrasinistra, si è indignato per aver letto su Facebook, da me “postato”, proprio il riferimento a quegli articoli con i quali Oriana Fallaci dissacrava Dario Fo, e mi sono piovute addosso invettive inaspettate, quasi che io, ricordando quei trascorsi della gioventù del Fo, ne abbia oltraggiato la “santa” memoria, e sono stato accusato di non aver rispetto per i morti; niente di più falso, ho grande rispetto per tutti i morti, compreso l’appena trapassato Dario Fo; pretenderei uguale rispetto, da parte di tutti, anche per qualche altro trapassato, com’è, appunto, la Oriana Fallaci.
Una ultima chiosa. Qualcuno ha celebrato la morte di Dario Fo, ricordando che è il secondo grande giullare, dal che si è compreso che lo si è paragonato a Francesco d’Assisi, denominato anche Giullare di Dio.
Pazzesco accostamento di un povero e misero cabarettista, sia pure premio Nobel, con una figura gigantesca della santità, della poesia, dell’arte e della misericordia che il nostro Paese abbia mai avuto: quel Poverello d’Assisi che non disdegnò di denudarsi per restituire al ricchissimo padre anche la sua misera veste, preferendo coprirsi con un saio, andare a piedi nudi nella neve, uno dei più grandi personaggi, artisti, poeti che l’Italia abbia mai avuto, che ha influito sugli usi e costumi del mondo oltre che della stessa cristianità, è che è morto nella più assoluta povertà dopo aver penato su un giaciglio di pietra.
Un accostamento che, più che irriverente, è stupido e fa comprendere la piccineria e l’incultura di chi l’ha fatto.