I bastardi della democrazia
Situazioni di ambiguità fermentano negli ambiti degli attuali schieramenti politici e sono leggibili in comportamenti flirtanti con figure rappresentative di regimi oligarchici: Matteo Salvini da vicepremier, Giuseppe Conte 5S e frange pacifiste del Pd, a proposito delle spese per l’adeguamento del presidio di difesa militare a fronte di un riequilibrio geopolitico, divenuto necessario, tra l’Occidente delle democrazie e l’espansionismo territoriale della Russia di Putin e commerciale della Cina di Xi

Democrazia non vuol dire soltanto appuntamento elettorale. Né ci può essere democrazia senza consultazioni e responsi popolari. Non è un gioco di parole, un sofisma, ma una questione di sistema istituzionale di garanzie e diritti.
La distinzione di fondo, nei confronti dei regimi oligarchici, sta nelle modalità di formazione della rappresentanza, nel rispetto del pluralismo di voci e di interessi, nell’autonomia delle funzioni dei poteri dello Stato esercitati dal Parlamento e dal Governo e nell’indipendenza delle magistrature. Sono principi fondamentali e dell’ordinamento contenuti nella Costituzione della nostra Repubblica, invocati e non sempre corrisposti nell’attualità del funzionamento di ciascun organo e nelle pratiche delle forze politiche in campo. L’uso politico della “piazza” o l’Aventino non appartengono all’alfabeto della democrazia liberale, né al galateo delle relazioni tra i diversi poteri dello Stato.
Nel decorso trentennio della cosiddetta seconda Repubblica è prevalso nel discorso pubblico lo scontro sul confronto e l’insulto sulla dialettica. Ed è andato in crisi il paradigma partitocratico ideologico o sorretto da dottrine politiche, ha preso sopravvento il leaderismo, a destra ed a sinistra, sotto forme populiste (meglio dire qualunquiste) sia nel linguaggio arrogante di élite culturali e tecnocratiche che nei comportamenti spiazzanti di vasti ed eterogenei ceti sociali. Ne ha sofferto la legittimità della politica come servizio, progettualità ed elaborazione di pensiero. Ne hanno guadagnato come casta i suoi attori.
Sulle loro capacità decisionali e facoltà di indirizzo, gli umori di una opinione pubblica insoddisfatta hanno incrociato, a fare i conti, con lobbismi mediatici, sorretti da interessi di economia e finanza, e con resistenze interne all’amministratore dello Stato, a partire dagli scontri tra le azioni giudiziarie intraprese da pezzi della magistratura e le attività di Governo, sia locale che nazionale.
Sul punto si compendiano contesti di indifferenza o ostilità nei confronti del ceto politico e di diffidenza verso le istituzioni manifestate con l’astensionismo crescente rispetto agli indici di partecipazione al voto praticata nella prima Repubblica, sia pure con “il naso turato” (copyright di Intro Montanelli). Il riferimento non è nostalgico di un passato già archiviato ma vuole essere un esempio comportamentale in situazioni di fluidità che impongono scelte “ob torto collo”. Era un appello lanciato in un clima politico in cui era preferibile esorcizzare corrosivi fenomeni di clientelismo e di deriva delle istituzioni rispetto all’insorgere di conati di eversione strisciante, di destra, o di passaggio sotto l’ala protettiva sovietica.
Situazioni di ambiguità fermentano negli ambiti degli attuali schieramenti politici e sono leggibili in comportamenti flirtanti con figure rappresentative di regimi oligarchici: Matteo Salvini da vicepremier, Giuseppe Conte 5S e frange pacifiste del Pd, a proposito delle spese per l’adeguamento del presidio di difesa militare a fronte di un riequilibrio geopolitico, divenuto necessario, tra l’Occidente delle democrazie e l’espansionismo territoriale della Russia di Putin e commerciale della Cina di Xi.
Perché la politica democratica non è compatibile con le oligarchie ovunque e sotto qualsiasi forma si manifestano.