Governo Draghi, una mezza delusione
Di più però era difficile fare
E’ nato il governo Draghi. Un bel mix di politici e tecnici, di conferme e nuovi arrivi, di vecchio e di nuovo.
Altro che storie, Mario Draghi, con l’aiuto del vecchio democristiano Mattarella, ha usato con molta perizia il bilancino del farmacista nel dosaggio delle rappresentanze dei vari partiti nel suo governo. Insomma, ha fatto largo uso, da politico scafato, del manuale Cencelli. I più giovani non sanno cosa sia. Era, e tutto sommato resta, il manuale della lottizzazione con cui si assegnavano i ministeri, e in generale tutte le altre posizioni di potere, ai tempi della DC, nella prima repubblica, tra i vari partiti della maggioranza e le tante correnti democristiane.
Certo, molte sono le novità, rappresentate dai tecnici, alcune di grande qualità e valore come quelle di Colao, Cartabia, Cingolani, Franco, Giovannini… Certo, poi, tra i politici, ci sono tanti ritorni dal passato, molto dei quali non entusiasmano affatto, e conferme del precedente governo, alcune delle quali sarebbe stato preferibile farne a meno assicurando una maggiore discontinuità.
In conclusione, inutile negarlo, una mezza delusione. Se questo, come si diceva nei giorni scorsi, doveva essere il governo dei migliori, qualche dubbio in proposito è a dir poco legittimo.
Di più, però, era difficile fare.
Diciamoci la verità, il presidente Draghi ha dovuto mediare tra l’esigenza di volere il meglio possibile e la necessità di agganciare i politici quindi i partiti, per vedersi garantito in prospettiva il massimo del sostegno e della collaborazione.
E, in questo, bisogna riconoscerlo, Draghi è stato bravissimo oltre che accorto: la politica non poteva e non doveva essere espropriata in tutto delle sue prerogative. Motivo per cui, anche se magari obtorto collo, qualcuno che, privo di passato e di qualità, non sarebbe da annoverare tra i migliori, comunque non poteva non essere imbarcato in questo nuovo esecutivo.
Ciò detto, va anche evidenziato che quasi tutti i ministeri più delicati sono affidati a esponenti tecnici, molti dei quali, se non tutti, da considerarsi diretta espressione del premier Draghi oltre che del presidente della Repubblica.
Non resta quindi che augurare al nuovo governo un buon lavoro nell’interesse di tutti noi. Vediamo cosa riuscirà a fare. Le questioni sul tappeto sono molte, urgenti e delicate. Il timoniere Draghi è una garanzia, rappresenta il meglio che il nostro Paese poteva mettere in campo in questo frangente così complesso e decisivo.
Senza però illudersi più di tanto. Le aspettative, infatti, sono tante, forse pure troppe. In fondo, Draghi ha competenze, conoscenze, relazioni e qualità da mettere in campo al servizio del Paese, ma non può fare miracoli. Inutile aspettarsi che tramuti l’acqua in vino e moltiplichi pane e pesci. E se oggi sembrano tutti, i partiti in primo luogo, folgorati come San Paolo sulla strada di Damasco, c’è da giurare che dalla prossima settimana in poi, quando si scenderà in concreto sui vari provvedimenti da assumere, non mancheranno critiche e mal di pancia. D’altro canto, c’è più di un dubbio sulla tenuta politica di un governo così composito e variegato, ma soprattutto eterogeneo come non mai. Eccome se c’è.
Certo, a ben pensarci, un miracolo Draghi lo ha già fatto, ovvero mettere insieme leghisti e pd, grillini e Forza Italia. Forse solo Noè è riuscito a fare di meglio. Nell’auspicio, ovviamente, che il miracolo di oggi non si trasformi in tempi brevi nel suo tallone d’Achille.