Governo Draghi alla prova, insondabile attesa
Archiviata la pagina della fiducia, il Governo del Premier Mario Draghi è in una fase di rodaggio al momento insondabile.
Per genesi e composizione non è catalogabile secondo i tradizionali canoni della dialettica politica finora praticata. Tecnocratico o partitocratico o più semplicemente di emergenza, sarà giudicato nelle future narrazioni per quello che farà e come lo farà.
Nell’attualità i fari sono accesi sulla campagna vaccinale, che stenta ad avviarsi, propedeutica a qualsiasi soluzione di ripresa o modello che si voglia adottare per l’attuazione del Recovery Plan.
Sul disegno delle relative implementazioni, riforme e programmi di investimenti ciascuna forza politica vorrà mettere bocca, come è giusto che sia. Ma sul puntò c’è da mettere in conto che l’opera di mediazione dell’ex Presidente della BCE è facilitata dalle regole vincolanti, i cosiddetti paletti, poste a fondamento per l’accesso alle risorse del Next Generation EU. Viceversa, non gli sarà agevole disinnescare malumori o cogliere il senso delle inquietudini che hanno travagliato e continuano ad agitarsi tra le forze parlamentari che hanno conferito fiducia al suo programma di governo.
La prima scadenza della luna di miele sono le prossime consultazioni amministrative, quando saranno chiamati alle urne 10 milioni circa di elettori. Non si tratta di un test dal quale potere misurare l’indice di rappresentatività della maggioranza al Governo, come è accaduto in altra epoca, né mette in discussione l’autorevolezza del Premier. I loro risultati, qualunque siano gli esiti, non escludono turbolenze nei partiti e nell’ambito di possibili coalizioni: finora consolidate nel centrodestra, da sperimentare in un centrosinistra allargato al M5S.
E qui subentra il rischio di sommovimenti sismici prodotti da comportamenti al momento imprevedibili rispetto al dovere di responsabilità invocato dal Premier ed assunto in Parlamento dalle forze che lo sostengono per combattere la pandemia sanitaria, ed economica e sociale del Paese.
Il prestigio di Mario Draghi presso le cancellerie internazionali basterà a tenere a bada e ricomporre, all’interno dell’Esecutivo e nel Parlamento, istanze politicamente disomogenee?
L’interrogativo riguarda, soprattutto, la diaspora pentastellata i cui posizionamenti, al di là dei dati numerici, non collimano per ispirazione e cultura delle istituzioni con le impostazioni praticate e testate in attività di governo dagli altri componenti della maggioranza, dalla Lega al PD e IV.
Le esperienze dei “contratti di governo” sono fallite con Conte uno e due, mentre le vicende che travagliano il M5S, forza di maggioranza relativa in Parlamento, finora determinante, segnano un dato di svolta non solo per la vitalità del Governo, ma per la durata della legislatura e pongono un problema di riequilibrio della rappresentanza politica nazionale.
Esse meritano rispetto per quello che il Movimento ha rappresentato nella scelta operata nel 2018 da un terzo degli elettori e sono motivo di attenzione per il chiarimento che ne potrà derivare per la geografia politica italiana inchiodata sull’equivoco di un consenso interpretato, di volta in volta, come segno di protesta populistica o di istanza di cambiamento.
Al di là del dimezzamento registrato dai sondaggi, la risposta, se ci sarà, è rimandata alle prossime consultazioni elettorali. Non è una eventualità da escludere fra un anno, a seconda delle maggioranze che andranno a formarsi per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.