Gli immigrati devono conformarsi ai nostri valori. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 24084 del 15 maggio scorso, smentendo tutti coloro che, sulla base di un alterato (diciamo così) senso dell’ospitalità, hanno pensato che l’obbligo dell’ospitante è quello di adeguarsi, sottostare, assecondare le aspettative più estreme di coloro che vengono ospitati, intendendo il corretto senso dell’ospitalità come una specie di supina sottomissione ai loro voleri.
Se una persona ospitata a casa nostra pretendesse di decidere dove sistemare i mobili, i quadri, gli ambienti, i simboli, magari di non farci usare televisore o radio o telefono, o di non mangiare il cibo che gli viene offerto, o di ingerirsi nelle vicende familiari e personali, cosa gli si potrebbe dire se non: quella è la porta…
Purtroppo anni di malinteso senso di ospitalità, accumunato a un deleterio buonismo di una certa parte politica, non ha fatto altro che stravolgere le regole e far rincantucciare gli italiani in angoli sempre più ristretti, con la pretesa di negare a tutti noi i nostri più che consolidati sentimenti, le nostre tradizioni, i simboli della nostra fede, della nostra cultura e del nostro sistema di vivere, quasi che tutto ciò contasse molto meno che non scontentare coloro che, anche a costo di grandi sacrifici, in ogni senso, vogliamo o siamo costretti ad accogliere: a noi italiani non è mai mancata la cultura dell’accoglienza unitamente alla disponibilità alla integrazione, e di ciò abbiamo dato testimonianza all’intero mondo; ma questa nostra disponibilità non deve stravolgere il nostro modo di vivere, i nostri costumi, le nostre tradizioni, la nostra storia.
Ma quante volte abbiamo dovuto subire il dispiacere di togliere il crocifisso dalle scuole o dai pubblici uffici? Chi non ricorda che abbiamo dovuto rinunciare al presepe o all’albero di Natale o che in più circostanze non è stato possibile autorizzare la tradizionale benedizione pasquale dei locali pubblici, o abbiamo dovuto sopprimere le pubbliche cerimonie religiose?
Quante volte abbiamo dovuto subire, noi ospitanti, simili violenze per non scontentare gli immigrati di altre razze, religioni e tradizioni?
E coloro, pure non estremisti, che evidenziavano e lamentavano tali distorsioni, quante volte sono stati accusati di mancanza di senso dell’ospitalità, se non di peggio?
Ora sembra che la Corte di Cassazione abbia messo un punto fermo: chi è immigrato deve conformarsi ai nostri valori, non solo legali e giuridici, ma anche etici, religiosi, morali.
E’ vero che la pronuncia è partita da una questione che sembra avere un aspetto molto marginale: l’episodio, accaduto a Mantova, di un indiano Sikh che si era abbigliato secondo la sua tradizione e pretendeva di circolare con un coltello ‘sacro’ denominato “kirpan”, (un’arma curva lunga circa 20 cm. ndr) secondo i precetti della sua religione, sostenendo che esso, unitamente al turbante ed alla tunica, era il simbolo della sua religione ed insieme costituivano un adempimento di natura religiosa: ma la Suprema Corte, ribaltando le sentenze dei precedenti gradi di giudizio, ha sentenziato che “non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori porti alla violazione di quelli della società ospitante”.
Anche la Cei, che certamente non può essere accusata di intolleranza nei confronti degli immigrati, ha commentato che la decisione della Cassazione è equilibrata, raccomandando comunque che la politica non la strumentalizzi.
Staremo a vedere; al momento registriamo la intima soddisfazione di aver visto un potere dello Stato proclamare un principio che tantissimi cittadini da anni reclamavano.