Dimenticati, ignorati, inesistenti.
Da anni, tanti, c’è una categoria, un gruppo distinto, numeroso e importante, per le future sorti di ogni paese, del nostro in questo caso, di cui – da nessuna parte in lungo periodo – si parla.
La fascia che va dai 15 ai 30 anni, ovvero quella che raggruppa le migliori menti ed energie di un Paese – ne sanno qualcosa nel Nord Europa – da anni, nel nostro caso, viene metodicamente e ciclicamente ignorata.
Da anni mancano politiche – che siano concretamente di lungo periodo – e dunque azioni capaci di dare una dimensione proattiva alla categoria dei “giovani” che negli anni, le statistiche ce lo dicono, si è sempre di più allargata a seguito di un ritardo dell’ingresso dell’età adulta.
Un tempo – circa quaranta anni fa – a trenta anni si era belli che andati, oggi, invece, a quest’età si esce dalla casa dei genitori, per chi ha la fortuna e soprattutto la voglia di poterlo fare, per cercare una propria strada.
Ma dopo tutto, non è sempre colpa dei soliti, termine abusato, “bamboccioni”.
Di giovani in Italia si parla nulla, poco e, soprattutto, con termini poco focalizzati sulla realtà per quella che è.
È quasi come se fosse una categoria indefinita di individui il cui unico scopo è godersi la beata età: ma non è proprio così perché, oggi, con trasformazioni sociali e umane pesanti, tra le fasce più deboli ci sono i giovani che letteralmente non hanno più punti di riferimento.
Laddove vi sono contesti familiari deboli, i ragazzi sono preda di marginalità perché la prima cosa che spesso fanno è quella di abbandonare gli studi, privandosi in questo modo di una concreta possibilità di crescita. E, così, finiscono per vivere ai margini, non solo economici ma sociali. E quando sei ai margini ti va bene qualsiasi cosa ti capita: dallo spaccio, alla criminalità.Le zone degradate delle grandi città offrono svariati esempi.
Da un’altra parte,l’offerta formativa tradizionale non riesce, a volte, ad essere all’altezza della sfida. È troppo lenta o poco attrezzata ad intervenire fornendo ai ragazzi, soprattutto a quelli di contesti sociali disagiati, strumenti innovativi con cui costruire il proprio futuro.
Chi ha finito la scuola secondaria rappresenta poi un problema: chi non vuole continuare a studiare e vuole cercarsi un lavoro, qualificante per certi aspetti, se non lavora diventa preda di marginalità. Finisce, anche qui, per iniziare ad adattarsi a tutto quello che trova finendo per rassegnarsi e smettere di credere nel proprio avvenire.
L’unica categoria, concepita, almeno concettualmente, sembra essere quella degli “studenti universitari”, degni di un certo rispetto appunto perché “studenti che studiano”. Ma anche qui se si alza il velo si trova un altro inganno: tra i tanti ragazzi che stanno studiando nelle nostre università, quelle che paghiamo con le nostre tasse, moltissimi sceglieranno di effettuare un dottorato, in un’università straniera, magari, guarda un po’, del Nord Europa. E là, magari, ci resteranno. In questo caso oltre a sostenere i costi dell’investimento perdiamo letteralmente anche l’investimento a vantaggio di qualcun altro che ne sostiene solo in parte i costi ricevendone i frutti.
Quello che manca è un disegno complessivo, una strategia per dire di questi “giovani” che cosa ne vogliamo fare concretamente. Come vogliamo creare valore da una loro partecipazione alla vita attiva? Come vogliamo renderli capaci di costruire la propria strada? Come vogliamo utilizzarli per creare attività di “valore” per tutti noi cittadini?
Se tutto questo è vero, e lo è guardando la storia degli ultimi dieci anni di storia italiana, allora è anche vero che: i giovani preferiscono continuamente il virtuale al reale, non amano la politica (di vecchi) perché non sanno che farsene e a cosa serva, preferiscono annientarsi nelle droghe e nell’alcool, scelgono di non scegliere sul proprio futuro, non hanno voglia e stimoli di essere responsabili. E la lista potrebbe continuare.
D’altronde, non è un caso se, dopotutto, siamo un paese che fa grande fatica ad individuare e riconoscere le leadership emergenti.
Investire nelle nuove generazioni, anzitutto partendo da una semplice considerazione di esistenza è un passaggio di grande efficacia per cominciare a disegnare il futuro del nostro paese.
Auspichiamo che il momento di grande cambiamento che stiamo vivendo sia foriero di idee nuove anche e soprattutto nella ricerca di valore da un nuovo equilibrio e “patto” tra le generazioni.
Facciamo tutti parte della stessa squadra.