Fra i rischi del “Premierato” ci sono anche quelli economici e finanziari?
Non posso essere d’accordo per la strada intrapresa da questa maggioranza di modificare la Costituzione, stravolgendone i pesi e contrappesi che i nostri Padri costituenti hanno avuto l’abilità di costruire.
Finora hanno preso di mira i Senatori a vita, una prerogativa costituzionale della quale gode il Capo dello Stato, e che non sembra abbia mai danneggiato le nostre Istituzioni in quanto i vari Presidenti della Repubblica ne hanno sempre usufruito con parsimonia premiando le eccellenze del Paese: ma questa maggioranza non bada al altro se non a fare tabula rasa di tutto ciò che non le aggrada.
Senza considerare che prima di mettere mani ad un complesso di norme ben bilanciate come quelle della nostra Costituzione, vanno considerati tanti aspetti, non esclusi alcuni che solo i veri esperti sono in grado di individuare.
E qui entrano in ballo i veri esperti; a tal proposito ci sembra illuminante una considerazione che un esperto di economia e finanza ha scritto qualche giorno addietro sul settimanale “Affari e Finanza” di Repubblica.
Parliamo di Carlo Bastasin il quale in data 20 maggio scorso ha scritto una cosa che lascia molto riflettere sulla utilità del potere costituzionale dei Presidenti della Repubblica in merito alla nomina dei Senatori a Vita, carica che non va valutata solamente sotto l’aspetto gratificante per alcuni personaggi che hanno onorato il nostro paese, ma anche, diremmo principalmente, su quello del ricorso che ad alcuni di essi è stato fatto affinché il Paese venisse tirato fuori dal baratro economico nel quale stava precipitando.
Carlo Bastasin, che per molti è solo uno sconosciuto, è Senior Fellow alla LUISS di Roma, dove insegna Governance economica europea, e alla Brookings Institution di Washington; tra le sue pubblicazioni, Saving Europe (Brookings Institution Press 2015) e Viaggio al termine dell’Occidente (Luiss University Press 2019).
Riportiamo, sintetizzandola, la teoria del Prof. Bastasin contrario alla abolizione dei Senatori a vita.
Il disegno di legge costituzionale per la riforma della nomina del Presidente del Consiglio nasconde insidie di natura finanziaria che possono avere implicazioni rilevanti per la democrazia italiana. L’insidia nasce dal fatto che la proposta di riforma disinnesca proprio il meccanismo attraverso il quale l’Italia ha evitato o superato le crisi finanziarie degli ultimi trent’anni.
Giorgia Meloni ha messo in evidenza come l’obiettivo della riforma fosse specificamente di sostituire alcuni poteri cruciali del Presidente della Repubblica, tra i quali quello di nominare a capo del governo persone di elevata competenza, esterne al Parlamento.
Purtroppo non ha tenuto presente che proprio quei poteri in passato hanno consentito al Paese di recuperare credibilità presso i partner europei e gli investitori globali allorquando i partiti si erano bloccati.
Non è strumentale ricordare che il livello del nostro debito pubblico è sempre altalenante e lo sarà, purtroppo, ancora per molto in quanto, nonostante tenuto costantemente sotto controllo dal Governo, si stenta a trovare una strategia contenitiva.
Se questa è la situazione appare legittimo chiedersi se, alla prossima crisi finanziaria l’Italia, priva della risorsa che finora ha garantito credibilità ai poteri pubblici, come se la caverà.
Bastasin ricorda che per ben quattro volte negli ultimi trent’anni l’Italia è riuscita a venir fuori dalle secche economiche facendo ricorso a personaggi scarsamente connotabili dal punto di vista politico e non eletti in Parlamento: Carlo Azeglio Ciampi (1993-1994); Lamberto Dini (1995-1996); Mario Monti (2011-2013); e Mario Draghi (2021-2022).
A Ciampi, come Ministro del governo Prodi, va attribuito il merito di aver forzato il cancello d’ingresso dell’euro assicurando un decennio di stabilità finanziaria al Paese; a Monti va riconosciuto invece di aver evitato che l’Italia venisse espulsa dall’euro stesso.
Dopo la riforma auspicata, come si comporterà un presidente del Consiglio nel quale saranno accentrati più poteri? Riuscirà a quietare partiti antagonisti convincendoli a sopportare riforme e sacrifici? E come lo farà? O accentuerà l’accentramento dei poteri? O, infine, in virtù del suo potere, sceglierà di rompere gli ancoraggi con l’Unione europea a costo di far crollare il nostro appoggio alla UE?
“L’osservazione dei sostenitori della riforma -afferma Bastasin- è che da essa emergerà un premier forte, in grado di prendere decisioni tempestive e meno esposto al rischio di instabilità politica. È possibile, ma la forza interna non è il fattore decisivo quando un Paese perde credibilità all’esterno. In Germania, per esempio, il meccanismo di stabilità non è dato dalla forza politica del cancelliere, bensì dalla sua debolezza rispetto ai poteri di controllo, agli altri ministri, al Parlamento e alla Camera alta. Questo spinge tutti i cancellieri a lavorare senza sosta a compromessi la cui natura è la compensazione dei costi e dei benefici nel tempo attraverso la stabilità dei governi. Il sistema federale tedesco fa sì che ai vari livelli di governo si confrontino in coalizioni politiche diverse e questo disinnesca l’impronta ideologica dei cancellieri e il costringe a cimentarsi nei compromessi più efficaci. Storicamente, stabilità e compromessi hanno reso quel Paese affidabile”.
I partiti italiani tendono invece a polarizzare anche questioni sulle quali l’opinione pubblica non sarebbe divisa, come, ad esempio l’immigrazione: se si chiede agli europei “volete salvare persone che stanno annegando nel mare?” oppure “volete accogliere un numero di immigrati commisurato a quanti possano trovare lavoro e istruzione?”, il 90% risponderebbe di sì.
Alla luce di ciò che sostiene il Prof. Bastasin, e non solo, è necessario essere molto prudenti in materia di riforme costituzionali.