scritto da Nino Maiorino - 29 Maggio 2017 10:34

Fortunata, ma solo di nome

Fortunata (Jasmine Trinca) è una popolana di Tor Pignattara, periferia romana piena di quartieri poveri, palazzoni anonimi e malmessi, in parte invasi da cinesi, a ridosso di un acquedotto romano; è una parrucchiera a domicilio, che lavora in nero, impegnata e sempre di corsa dalla mattina alla sera, tra l’accudimento della figlia di otto anni, che si porta addosso il trauma della separazione della mamma dal padre Franco (Edoardo Pesce), guardia giurata violenta e sboccata, costretto a dare alla moglie gli alimenti per sopravvivere e accudire della figlia di otto anni, Barbara (Nicole Centanni), in attesa del divorzio.

Fortunata conduce una vita frenetica, il lavoro presso le clienti, l’esigenza di guadagnare il più possibile per realizzare il suo sogno di aprire un negozio di parrucchiera nel suo quartiere, così che le clienti dovranno loro scendere le scale che lei velocemente è costretta a salire per recarsi a casa loro: una sorta di riscatto sociale che la porta a indebitarsi con strozzini cinesi per realizzare il suo sogno e aprire un negozio di “hairstyling”, che chiama “Lucky”, traducendo in inglese il suo nome, e nel quale potrebbe ospitare l’amico fraterno Chicano (Alessandro Borghi), che vive facendo tatuaggi, tra droga e assistenza della madre Lotte (Hanna Schygulla), ex attrice di teatro ora ammalata del morbo di Alzheimer.

Tra la convulsa giornata di Fortunata, i problemi psichici della figlia Barbara, le sedute di psicanalisi alle quali la bimba deve sottoporsi presso lo psicologo Patrizio (Stefano Accorsi), con il quale Fortunata intreccia una relazione, i violenti incontri con il marito, gli sfoghi con l’amico tatuatore, tutto scorre “liscio” fino a quando Chicano non porta la mamma malata su un ponte e la spinge nel fiume.

L’arresto di Chicano e il contemporaneo affidamento della figlia al marito fanno entrare in crisi Fortunata che rimane sola, perde il negozio per non poter restituire il prestito agli strozzini cinesi, e le rimane (ma fino a quando?) solo il rapporto con lo psicologo Patrizio.

Il film di Sergio Castellitto, appena presentato al Festival cinematografico di Cannes e distribuito in contemporanea nelle sale, è un film ossessivo che bene evidenzia la frenetica vita di una frenetica città in una borgata alienante e senza prospettive di alcun genere; una frenesia che si trasmette allo spettatore in maniera oppressiva e deprimente, lo coinvolge e lo sconvolge al punto che esso arriva alla conclusione che probabilmente l’unica soluzione per tutti è il suicidio, come quello della mamma di Chicano, che il figlio ha “aiutato” a compiere, aiutandola a buttarsi giù dal ponte.

Chissà se c’è qualche speranza per chi è costretto a vivere in tal modo, senza nessuna prospettiva di miglioramento: il film non sembra darne, ma la conclusione con la canzone “Vivere” di Vasco Rossi è quasi uno spiraglio nella drammaticità del vivere quotidiano di tante persone delle quali lo scarno, ma ottimo “cast” del film costituisce una credibile sintesi.

C’è chi ha fatto un paragone con un altro film, altamente drammatico del 1962, “Mamma Roma” di Pier Paolo Pasolini, con una splendida Anna Magnani, anch’esso ambientato in una ancora più degradata borgata romana, e che si conclude ancora più tragicamente.

A noi sembra che il paragone non regga giacché il film di Pasolini, nonostante la maggiore drammaticità, era ambientato in un’epoca che già intravedeva dinanzi a se una possibilità di riscatto sociale e di ripresa economica che ora non si intravede: si stava già rimediando ai danni della guerra e quelle borgate tanto degradate erano destinate a scomparire, come poi in effetti è avvenuto, anche se sono state sostituite da quartieri dormitorio nei quali, però, è scomparsa quella umanità che fermò Mamma Roma nel tentativo di suicidio.

Epoche e ambienti diversi, dunque, e non paragonabili.

Ma il film di Castellitto, scritto dalla moglie Margaret Mazzantini, ha anch’esso, come quello di Pasolini e di tanti numerosi registi italiani, il pregio di aver fotografato la realtà drammatica e alienante di una città in questo momento di grande disagio per tanta gente.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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