Potremmo sicuramente richiamarci in maniera in qualche modo speculare a grandi opere letterarie del tipo “Guerra e Pace”, “Delitto e Castigo”, “Orgoglio e Pregiudizio”, od anche a testi teatrali famosi come “Miseria e Nobiltà”: l’elenco di “mutuo soccorso” in questo caso potrebbe essere davvero lungo.
Solo che il binomio emergenza/povertà non è un titolo romanzesco ma sembra descrivere sempre più la specificità negativa del nostro tempo, definire cioé la condizione nella quale ci siamo, volenti o nolenti, ridotti a vivere.
E non solo nel Sud e a Napoli in particolare bensì in una larga parte del paese. Napoli però è come sempre la città dei primati (positivi un tempo, sempre più negativi al giorno d’oggi) e conseguentemente qui questo registro appare davvero drammaticamente attuale, acuita dal ciclone Covid19.
Cominciamo col primo termine. Si vive ormai da tempo (stiamo perfino dimenticando da quanto) in emergenza. Questo termine che dovrebbe essere utilizzato in maniera oculata e “razionata” giacché attiene alla straordinarietà di una situazione, essendo l’esatto contrario di normalità (e in tempi di pace si dovrebbe almeno vivere in una condizione normale), sta diventando una specie di componente indissolubile ed indistruttibile del nostro stesso dna.
L’emergenza riguarda ormai tutti gli aspetti della vita civile e comunitaria, vale a dire che coinvolge la scuola, la giustizia, la sicurezza dei cittadini, la raccolta dei rifiuti, la tutela della privacy, ecc. Non c’è per così dire aspetto della vita comune, di tutti i giorni, vale a dire normale, che non sia entrata nel vicolo cieco dell’emergenza. Al punto tale che tutti coloro che sono preposti alla direzione e conduzione delle faccende politico-civili, che hanno il compito di mandare avanti la società, sono quotidianamente alle prese con l’emergenza, cioè tentano di affrontare il problema della straordinarietà della situazione.
Ora accade una cosa apparentemente strana eppure irreversibile. Costoro cioè, essendo presi a tempo pieno dall’emergenza e non riuscendo, ahinoi a risolverla, a far tornare una buona volta la normalità cui la società civile aspira, sono giocoforza obbligati a trascurare la normale amministrazione per cui tutti gli altri problemi, che sono ancora nella norma, una volta trascurati diventano anch’essi straordinari, entrano cioè in emergenza, col rischio o meglio con la certezza della irrisolvibilità alla quale si è fatto riferimento.
Un circolo vizioso dal quale non si esce. Eppure provate a parlare con un dirigente di una qualsiasi amministrazione o con un uomo politico impegnato in un incarico pubblico e vi sentirete rispondere nove volte su dieci che non è possibile, che è necessario un differimento perché quella persona sta affrontando un’emergenza, sta cercando di risolvere cioè un problema imprevisto.
Una società perennemente in emergenza ovviamente non può non impoverirsi. E qui entra in gioco l’altro termine del binomio, la povertà. I dati recenti lo confermano: secondo la banca mondiale la pandemia di coronavirus potrebbe spingere 60 milioni di persone sotto la soglia di povertà, cancellando i progressi compiuti negli ultimi tre anni nello sradicamento della povertà.
Nel nostro Paese tre italiani su quattro si sentono poveri. È fin troppo evidente che la precarietà quotidiana, il dover star dietro a rattoppi vari, fa perdere ovviamente di vista una programmazione seria in termini economici e produttivi con detrimento per il portafoglio di tutti. Ma soprattutto è grave che questi dati di progressivo impoverimento della società coinvolgano più di altri coloro che aspirano alla normalità, che sognano la realizzazione di un diritto che diviene viceversa un miraggio: vivere cioè una vita ordinaria, al di fuori delle emergenze.
Sono come si diceva una volta i colletti bianchi, coloro che credono ancora in una società civile, che non vogliono arrendersi al malaffare, che tirano la cinghia alla terza e quarta settimana del mese ma non vogliono demordere, abbandonare il campo a coloro che invece in questa emergenza lucrano a più non posso.
Si può forse pensare ad un ministero dell’emergenza anche se questo adombra tempi davvero bui, da coprifuoco a conflitto bellico. Ma tant’è. A Napoli abbiamo avuto un assessorato alla sicurezza, un altro ai tempi, un altro ancora alla memoria.
Sicurezza, tempi e memoria in una città come Napoli, nella Napoli di oggi: mi sono sempre chiesto se tutto ciò sia una sfida a una provocazione comica. Francamente non so rispondere.
Penso solo che avremo forse presto bisogno proprio di un ministero all’emergenza e non invidio certo chi sarà chiamato a ricoprire quel ruolo.