Il 2 novembre 1975, esattamente 41 anni fa, veniva ammazzato, in un campetto dell’idroscalo del Lido di Ostia, uno dei più interessanti, arguti, controversi e chiacchierato tra gli scrittori contemporanei, Pier Paolo Pasolini, che fu anche poeta, regista, filosofo, sceneggiatore, inequivocabilmente schierato a sinistra, anche se la sinistra dell’epoca, nonostante ne riconoscesse le qualità, rimase sempre notevolmente distaccata sia dalle attività di Pasolini, sia dalle sue opere lucide, spesso controcorrente; e accolse la notizia della sua morte con lo stesso imbarazzo con il quale aveva seguito la sua vita.
Pier Paolo Pasolini era un personaggio, all’epoca come forse ancora oggi, alquanto scomodo, a causa della sua non nascosta, anche se non ostentata, omosessualità, che la sinistra non poteva negare ma nemmeno ufficialmente riconoscere.
Il mito del superuomo, del macho, riveniente dalla millenaria cultura maschilista (atteggiamento socio-culturale che riconosceva una presunta superiorità dell’uomo nei confronti non solo della donna ma anche degli uomini che non esibiscono virilità strabocchevole) era ancora imperante e ben radicato, e anche la cultura di sinistra ne era condizionata.
Solo artisti illuminati e anticonformisti incominciavano a parlarne, uno per tutti Ettore Scola che, nel 1977, girò quel capolavoro di “Una giornata particolare” che irrideva, appunto, il mito del super maschio.
Oggi, quarantun’anni dopo, personaggi dichiaratamente omosessuali che hanno avuto ed hanno incarichi apicali, come Niki Vendola, Rosario Crocetta e tanti altri, non fanno nemmeno più notizia, ma all’epoca la situazione era alquanto diversa e Pasolini, anche se mai impegnato attivamente nella lotta politica, nonostante le sua doti, la sua lucidità, e la profonda fede sociale che lo portava verso gli ultimi, i diseredati, gli emarginati, i “borgatari”, costituiva una spina nel fianco per quella sinistra che non lo poteva disconoscere, ma faceva tutto il possibile per ignorarlo o, quanto meno, emarginarlo.
E anche la notizia della sua tragica morte venne vissuta con un certo fastidio anche dalla sinistra, che l’archiviò frettolosamente, salvo che, negli anni successivi, cambiato l’approccio verso le devianze sessuali, delle opere e del pensiero di Pasolini si è incominciato a parlare, a discutere, ad approfondire, relegando finalmente in un cantuccio quella “devianza” che tanto aveva fatto penare negli anni precedenti.
Sul come venne ammazzato P. P. Pasolini le cronache dell’epoca sono ricche di ricostruzioni, testimonianze, indizi e prove, e anche le indagini, sebbene effettuate con qualche difficoltà, sono giunte a conclusioni che ancora oggi si possono ritenere tutt’altro che aderenti ai fatti.
Ma la domanda importante, alla quale ancora oggi si cerca la risposta definitiva è un’altra: perché venne ammazzato Pier Paolo Pasolini?
Le cronache dell’epoca qualche traccia diversa dalla verità ufficiale l’hanno lasciata: basta sfogliare, ad esempio, “Micromega” per trovare qualche accenno ad una verità che non emerse dagli atti processuali e che quest’anno, grazie al film-inchiesta “La macchinazione” del regista David Grieco, uscito ad aprile scorso nelle sale cinematografiche italiane, viene nuovamente a galla e viene ripreso il discorso sulle vere ragioni del martirio di Pasolini il quale, nel periodo immediatamente precedente alla morte, stava lavorando ad un romanzo-inchiesta incentrato sulle risorse petrolifere italiane, su Enrico Mattei, ex “patron” dell’ENI, pur’egli vittima di un misterioso incidente aereo e sempre impegnato sulla strategia dell’autonomia energetica dell’Italia dalle famose sette sorelle del petrolio mondiale.
Il periodo esaminato da Pasolini era quello nel quale in Italia non si muoveva foglia che un grande industriale non volesse: parliamo di Eugenio Cefis il quale per oltre un ventennio è stato il deus-ex-machina della politica nazionale, non solo energetica.
Il fantomatico Giorgio Steimetz (c’è il dubbio che non sia mai esistito e che al suo posto c’era un altro giornalista che si nascondeva dietro quel pseudonimo), aveva già scritto un libro-inchiesta che era improvvisamente scomparso dalla rete di vendita, ma di esso Pasolini aveva recuperato una copia fotostatica sulla quale stava lavorando per riprendere le teorie di Steimetz, provocare eventualmente una querela a suo carico per avviare una indagine della Magistratura finalizzata a ufficializzare le responsabilità di Cefis nei vari affari nazionali della sua epoca; e l’inchiesta alla quale Pasolini stava lavorando si chiamava, appunto, “Petrolio”.
Nell’imperdibile libro-inchiesta di Steimetz, cui deve molto l’incompiuto e mutilato “Petrolio” di Pasolini, si trova la chiave di lettura di un criminale asse politico-economico-mafioso: è l’Italia del doppio boom degli anni Settanta, sviluppo e bombe. Bombe stragiste, piduiste e mafiose. Uno «Stato nello Stato» che nel 1962 ha tolto di mezzo il presidente dell’Eni Enrico Mattei; nel 1968 il giornalista Mauro De Mauro; nel 1971 il giudice Pietro Scaglione; e nel 1975, con ogni probabilità, lo stesso Pasolini. E la catena dei delitti mafiosi e di Stato prosegue nel 1979 con la morte del vice questore di Palermo Boris Giuliano e nel 1992 vengono eliminati i magistrati antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Era ovvio che uno scrittore del peso e della notorietà di Pasolini non poteva passare inosservato come il fantomatico Steimetz, ed era altrettanto ovvio che i burattinai della nostra Repubblica avessero tutto l’interesse ad evitare che Pasolini potesse portare a termine il suo progetto.
Questo è lo scenario che fa da sfondo al film-inchiesta “La macchinazione”, da vedere, il quale, dipanandosi fra le paure dell’uomo Pasolini, la devianza che lo portavano a frequentare quasi quotidianamente i borgatari e, in particolare, quel Pino Pelosi, Pino-la-rana (suo partner negli incontri sessuali semi-clandestini, poi condannato quale unico responsabile dell’omicidio), e l’impegno di portare avanti la sua inchiesta contemporaneamente al completamento del film “Salò e le 120 giornate di Sodoma”, lo strinsero in una morsa nella quale fu molto facile per la delinquenza borgatara romana attirarlo in una trappola e massacrarlo, all’idroscalo di Ostia, facendo poi risultare che il Pino-la-rana fosse stato l’unico responsabile e che l’avesse finito, dopo averlo massacrato di botte, passando sul suo corpo con la stessa alfa sprint 2000 dello scrittore.
Il regista ricostruisce anche le ultime ore di Pasolini, i personaggi che avevano avuto l’incarico (da chi?) di sopprimerlo, l’ipotesi che sul luogo del delitto, oltre all’alfa di Pasolini, ce ne fosse una seconda identica, e la platea di borgatari che avevano assistito al massacro e che, intimiditi dalle minacce della banda di massacratori, hanno sempre taciuto alle varie inchieste che si sono succedute.
Ma quale che sia stata la verità, verso la quale il film di Grieco, pure non fornendo una risposta, spinge la magistratura, rimane di Pasolini il ricordo di un artista lucido e disincantato che non esitava a schierarsi, controcorrente, anche contro i figli di papà del Sessantotto al fianco dei poliziotti (questi si sottoproletari mal pagati e messi alla gogna dai benpensanti e dalla stessa sinistra) con la celebre denunzia:
“““Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccolo borghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. […]
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia. Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione risorgimentale) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe sociale. A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici”””.
Forti parole che ancora oggi scuotono le coscienze e dovrebbero far riflettere anche quella ultrasinistra sempre pronta a difendere le piazze contro i poliziotti-proletari, quasi sempre vittime di fare il loro dovere e ancora oggi sottopagati.
Qualche considerazione sul film “La macchinazione”.
Prima di ogni altra cosa c’è da fare una considerazione su un ottimo Massimo Ranieri, il cui volto scavato, quasi sofferente, sempre cupo e assorto ben rende bene il personaggio Pasolini: Massimo Ranieri, inizialmente conosciuto solo come bravo “chansonnier”, da qualche anno si è trasformato in ottimo attore, sia di teatro (chi non ricorda le splendide interpretazioni dei personaggi di Eduardo, che non fanno rimpiangere quelle degli attori di teatro tradizionali e, in alcuni casi, persino quelle dello stesso Eduardo?) sia anche di cinema: e l’interpretazione del personaggio di Pasolini lo dimostra.
Il regista, David Grieco, fu amico di Pasolini in vita e che non ha al suo attivo numerosi altri film essendosi dedicato prevalentemente alla sceneggiatura con registi importanti (Bertolucci). In virtù del vecchio rapporto personale con Pasolini, Grieco ha realizzato lo stringato film-inchiesta lucido e di grande impatto. Il film è da vedere.