Nel mentre noi ci dibattiamo in questioni come la manovra di bilancio, l’eccessivo indebitamento, il mancato rispetto dei parametri concordati con l’Europa negli anni precedenti, dall’Europa arrivano da un lato segnali di conflittualità con il nostro paese, dall’altro prospettive di lungo respiro, come la necessità di traghettare questa confederazione di stati verso una federazione.
Il nostro problema è quello del debito pubblico, della incapacità di ridurlo, e della necessità di aumentarlo sostenuta dal nostro governo. E’ chiaro che il nostro eccessivo indebitamento non è colpa di questo governo: la sua colpa è di volerlo cocciutamente aumentare per varare provvedimenti di solo assistenzialismo che non porteranno al rilancio della produttività, e creeranno i presupposti per un futuro sempre più critico per noi, i nostri figli e nipoti.
L’ultimo pesante monito contro questa pretesa è stato del Presidente della BCE Mario Draghi il quale si è espresso oggi con parole dure.
“Per proteggere le famiglie e le imprese dall’aumento dei tassi di interesse, i paesi ad alto debito non dovrebbero aumentare ulteriormente il loro debito e tutti i paesi dovrebbero rispettare le regole dell’Unione Europa” ha dichiarato Draghi nel corso del suo intervento allo European Banking Congress di Francoforte.
E ha continuato “La mancanza di un consolidamento dei conti pubblici nei paesi ad alto debito pubblico aumenta la loro vulnerabilità agli shock, indipendentemente dal fatto che questi shock siano prodotti autonomamente mettendo in questione le regole dell’architettura dell’Ue, o che arrivino attraverso un contagio”.
E ha proseguito: “L’aumento degli spread dei titoli sovrani è stato per lo più limitato al primo caso e il contagio tra i paesi è stato limitato. Questi sviluppi si traducono in condizioni più restrittive per i finanziamenti bancari all’economia reale. Ad oggi, sebbene si verifichi qualche ripercussione sui prestiti bancari in cui l’aumento degli spread è stato più significativo, i costi complessivi per i finanziamenti bancari rimangono vicini ai minimi storici nella maggior parte dei paesi, grazie ad una base di depositi stabili”.
“L’economia dell’aria euro sta registrando, dopo cinque anni di crescita, un rallentamento graduale” ha aggiunto Draghi, attribuendola non solo a rallentamenti registrati in alcuni settori, tra i quali quello dell’auto, ma pure alle tensioni a livello globale, alle quali anche il nostro paese sta contribuendo.
In quanto all’occupazione Mario Draghi ha sottolineato che nell’area euro, negli ultimi cinque anni è aumentata di 9,5 milioni di persone, sostenendo che è aumentata di 2,6 mln in Germania, 2,1 mln in Spagna, 1 mln in Francia e 1 mln in Italia. Questa crescita è simile a quella registrata nei 5 anni prima della crisi quando era cresciuta di 10 mln. Tuttavia, in quel periodo, quasi il 70% della crescita occupazionale proveniva dalla fase di età compresa tra i 25 e i 54 anni: ma dal 2013 in poi, invece, la crescita ha riguardato la fascia di età compresa tra i 55 e i 74 anni, tant’è che Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro delle persone di età tra i 55 e i 74 anni è quasi raddoppiato, passando da circa il 20% nel 1999 al 38% nel 2017: ciò sta a significare che il maggior aiuto è stato alle persone di età elevata, penalizzando i giovani.
Non ha tralasciato il Presidente Draghi di sottolineare la urgenza di completare l’Unione economica e monetaria, pilastro fondamentale per preservare la costruzione dell’Europa Unita. “Nel mio discorso nel novembre 2011 in questa sede – ha detto Draghi – avevo detto che la crisi economica avrebbe richiesto un passo più rapido nel processo di rafforzamento dell’Unione monetaria. Da quel momento il lavoro fatto è stato notevole ma è ancora lontano dall’essere completato. Il completamento dell’unione bancaria in tutte le sue dimensioni, inclusa la riduzione del rischio e l’avvio di una unione dei mercati dei capitali attraverso l’attuazione a partire dal 2019 delle iniziative in atto è diventata ora una questione altrettanto urgente di come lo furono i primi passi nella gestione della crisi dell’area euro sette anni fa. L’urgenza oggi non è dettata da una crisi economica che abbiamo affrontato con successo ma perché rappresenta la miglior risposta alle minacce che vengono rivolte alla nostra unione monetaria: a queste minacce, la risposta è solo quella di una maggiore Europa”.
Parole di estrema chiarezza che vanno ben ponderate; e che evidenziano come, nel mentre buona parte dell’UE si pone il problema del rafforzamento dell’Unione e la prospettiva di una federazione (come quella USA), v’è ancora chi, in Italia ma non solo, si illude di poter anacronisticamente tornare alla sovranità nazionale, agli stati sovrani che debbono scrollarsi di dosso il duro gioco dell’Unione, senza tener conto che per contare veramente qualcosa e trattare ad armi pari con i colossi economici dell’Est e dell’Ovest l’unica strada è mantenere e rafforzare questa Unione Europea e traghettarla verso l’auspicata Federazione predicata dai padri fondatori della stessa.
Una Europa non solo con una uguale moneta, ma con una sola politica, un solo sistema fiscale, una sola economia, una sola polizia, un solo esercito, e anche, osiamo dire, un solo debito; in parole semplici una entità molto più forte e incisiva di quella attuale.
Probabilmente la nostra generazione non avrà la possibilità di vedere realizzato questo sogno, ma fortemente dobbiamo sperare che i nostri figli e i nostri nipoti lo vedano; e non lamentiamoci dei nostri giovani che emigrano in altri stati per trovare lavoro o farsi valere: sono proprio essi i cittadini dell’Europa del domani, nella quale non verranno individuati come italiani, spagnoli, francesi o tedeschi, ma come “europei” come da due secoli già avviene per quelli “americani”.
In conclusione: non dividere, non avvinghiarsi alla bandiera del nazionalismo, ma unirsi, sentirsi parte di una entità territoriale, politica e culturale che, pure ricordando e celebrando le diverse radici, si presenti sul palcoscenico mondiale come una entità sovranazionale: l’entità “europea”.