Dicotomia fascismo/antifascismo, sofismo o criticità democratica?
La riproposizione in eterno della dicotomia fascismo/antifascismo non premia l’intelligenza dei padri costituenti della Repubblica. Perché, la XII disposizione della Costituzione, con la quale “è vietata la riorganizzazione del disciolto partito fascista, si preoccupa anche di recuperare alla vita politica della ritrovata democrazia, dopo una quarantena di ravvedimento culturale, i capi responsabili del regime fascista, restituendo loro “il diritto di voto e di eleggibilità” non oltre il quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione.
Una disposizione, perciò, pensata per prevenire possibili revancismi, contando nella forza e nella capacità delle nuove istituzioni democratiche.
In quel clima si iscrive il messaggio di Palmiro Togliatti di recuperare “i fascisti ingannati dal fascismo” lanciato dal V Congresso del PCI (Roma, Gennaio 1946) e raccolto da una schiera di intellettuali e giornalisti divenuti opinion maker della sinistra italiana.
Sulla formulazione della citata disposizione va ricordata la riserva dello stesso Togliatti e si arrivò al testo approvato dall’Assemblea costituente dopo avere espunto, con la mediazione di Alcide De Gasperi, la parola “totalitarismi”.
La stessa questione si è riproposta dopo circa 60 anni al Parlamento europeo in sede di discussione di una risoluzione contro i totalitarismi di qualsiasi natura (fascista, nazista e comunista) non votata dalla rappresentanza italiana del PD; si ripropone ora davanti al Parlamento italiano chiamato a pronunziarsi su una mozione promossa da PD ed altri contro il pericolo fascista manifestatosi a seguito dell’assalto alla sede della CGIL ad opera di militanti di Forza Nuova, sedicente partito neofascista, ed un’altra a firma dei partiti delle centrodestra contro ogni forma di violenza e di movimenti le cui matrici sono riconducibili a dottrine di stampo totalitario.
In un clima di insondabili insofferenze, ribellismi ed insoddisfazioni che covano e si manifestano nel Paese, anche in maniera rumorosa, ci sarebbe poco da discettare sul bene e sul male come categoria della politica, pervenendo, come segno di pacificazione nazionale, ad un’intesa per comuni obbiettivi di salvaguardia e partecipazione alla vita politica denigrata e disertata, come è accaduto nelle ultima consultazioni amministrative, da poco meno degli aventi diritto al voto. Viceversa, sul punto sembrano prevalere logiche manichee ispirate al bene ed al male, buono o cattivo, bello o brutto, alla vigilia di un’altra chiamata alle urne animata dal clamore mediatico del botta e risposta tra Giorgia Meloni ed il vicesegretario del PD, Provenzano, che dichiara FdI “fuori dall’arco repubblicano e democratico”.
L’assonanza con “l’arco costituzionale” che per oltre un trentennio ha gestito equilibri di potere della partitocrazia, con l’esclusione del MSI, non sfugge alla Meloni che rivendica protagonismo e legittimazione conquistati sul campo dal suo partito, accreditato dai sondaggi come primo.
Il pomo della discordia è la “Fiamma tricolore”, simbolo che ha attraversato per oltre 70 anni la metamorfosi della destra italiana le cui proiezioni politiche hanno operato all’interno delle istituzioni repubblicane e democratiche, partecipando e contribuendo alle elezioni di Capi dello Stato, alla produzione di attività legislativa ed a Governi della Repubblica, Regioni e Comuni.
Depurata dall’animosità della polemica, la prassi degli “archi”, già rivelatasi infruttuosa per la convivenza democratica, è discriminante rispetto allo spirito ed alla lettera della Costituzione ove prevede che si concorre alla partecipazione e determinazione della politica nazionale con metodo democratico e non inquisitorio.
Nell’attualità il “copia ed incolla” della dicotomia mutuato da valutazioni di ordine storiografico appare più come un artificio retorico o se si vuole un alibi per inadempienze o incomprensioni delle criticità che travagliano i sistemi di rappresentanza e partecipazione delle democrazie occidentali.
A ciascuno il suo e da ciascuno la sua parte di responsabilità e di riflessione senza rinnegare la propria identità né perpetuare modelli usurati dal tempo.