Dibattiti inutili sulla cultura
La considerazione più scottante su cui forse conviene riflettere è che, come accade ormai da tempo a livello istituzionale, l’attenzione è quasi sempre rivolta ad aspetti per così dire formali che lasciano in disparte totalmente i contenuti veri

Nella prima decade del Duemila il ministro dei beni culturali pro-tempore invitò formalmente Napoli e la sua cittadinanza ad aprire un dibattito sulla opportunità di intitolare la biblioteca nazionale “Vittorio Emanuale”, attualmente ospitata in un’ala del Palazzo Reale in piazza del Plebiscito, a Benedetto Croce, rifiutandosi di assumere una decisione arbitraria e rimettendosi in altri termini al gradimento dei napoletani.
L’invito è stato ripreso appena 2 anni fa oltre che dal Sindacato Unitario Giornalisti Campania (SUGC) anche da comitati civici e associazioni in un appello al precedente Ministro della Cultura di questo governo, Gennaro Sangiuliano, che puntano a coinvolgere anche le istituzioni locali, dalla Regione Campania alla Città Metropolitana e il Comune di Napoli, nella richiesta per ottenere il cambio di nome della Biblioteca, che non sia più intitolata al Re d’Italia Vittorio Emanuele III, che promulgò le leggi razziste che portarono alla deportazione di 8.546 ebrei, ma porti il nome del noto filosofo partenopeo.
Tale invito sin dall’invito del ministro prodiano suscita ancora oggi due sensazioni di segno per così dire opposto. La prima, diciamo quella positiva, è la piacevole sorpresa che la cultura, sempre negletta quando non condizionata da lobby e sette varie, riscuote ancora interesse nel nostro paese, se il ministro dei beni culturali mostrava tanta attenzione per un serbatoio di alte memorie storiche quale è la biblioteca nazionale. A questo sentimento come detto positivo si contrappone però poi l’altro che non deriva soltanto dal fatto – che sarebbe qualunquistico – di dire che con tutti i mali che affliggono la città di Napoli (ma anche il paese Italia) forse il problema della intitolazione di una biblioteca che bene o male un nome ce l’ha pure e non da ora, è sicuramente secondario.
La considerazione più scottante su cui forse conviene riflettere è che, come accade ormai da tempo a livello istituzionale, l’attenzione è quasi sempre rivolta ad aspetti per così dire formali che lasciano in disparte totalmente i contenuti veri. In altre parole il nome di una biblioteca può essere importante ma ai suoi fruitori, che non sono poi nemmeno tanti, interessa ritengo qualcosa di diverso, vale a dire quello che la suddetta biblioteca è in grado di offrire concretamente in termini di servizi: qual è il suo patrimonio librario, come funziona, quanto è realmente fruibile per i suoi utenti, quali sono le risorse telematiche di cui dispone, ecc. ecc.
Ora Croce a Napoli è una leggenda e nessuno oserà mettere in discussione il suo prestigio anche se qualche ripensamento critico onesto ed obiettivo andrebbe pur fatto, visto che la revisione storica è un bene per tutti e ad oltre settant’anni dalla morte anche a Don Benedetto andrebbero contestati alcuni “abbagli”, primo fra tutti, ad esempio, il fraintendimento della figura e l’opera di Giacomo Leopardi i cui manoscritti, guarda caso, riposano proprio in quella biblioteca che al grande pensatore ora si vorrebbe intitolare. Il sospetto che nasce è che troppo spesso le istituzioni si attaccano a problemi esteriori per nascondere — forse anche in buona fede — quello che andrebbe viceversa sceverato a fondo e forse anche cambiato del tutto: il modo stesso di fare cultura, di promuoverla, di assecondare le opinioni e le idee come prima ricordato di piccole e grandi lobby che poco hanno a spartire con la cultura vera e poi le grandi dimenticanze.
Croce a Napoli è giustamente vivo e presente, ma quanti altri grandi personaggi sono stati dimenticati, da Viviani a Domenico Scarlatti, da Leoncavallo al grande Totò il cui quarantesimo anniversario della morte venne ricordato (sic!) in maniera del tutto raffazzonata, senza un minimo di programmazione strategica. L’auspicio è che vorremmo una cultura autenticamente valorizzata e diffusa, soprattutto meglio fruita, praticata davvero nei luoghi deputati, vale a dire le biblioteche ma anche le scuole, i centri culturali, le associazioni di volontariato, in uno scambio di sinergie condivise. Se così davvero fosse, anche i grandi del passato potrebbero continuare ad insegnarci qualcosa al di là dei nomi e delle etichette occasionali.