La crisi del secchiello
Confessiamo di avere difficoltà a metabolizzare e commentare ciò che è accaduto nell’ultima settimana, avevamo sperato, probabilmente contro ogni evidenza, che pure questa volta Draghi si sarebbe imposto e avrebbe salvato per l’ennesima volta l’esecutivo, forte dei risultati ottenuti nei 17 mesi del suo governo, e del prestigio che la sua persona ha a livello internazionale.
Siamo rimasti, come la maggior parte degli italiani, basiti e delusi, purtroppo non possiamo fare altro che prenderne atto e prepararci ad una campagna elettorale infuocata, e non solo per le altissime temperature.
Ma qualche anno fa pure ci fu una specie di campagna elettorale estiva, grazie a Matteo Salvini e al Papeete-Beach, che poi costrinse Conte a metterlo da parte e platealmente lo fece nell’aula del Senato, confrontandosi con un balbettante Salvini che tentò di mettere una toppa e cancellare tutto il malfatto, ma Conte non si fece turlupinare, lo cacciò per passare, poi, al Conte/2, imbarcando il PD: quegli avvenimenti non furono drammatici, ma piuttosto grotteschi.
Sbollita ora la rabbia, ci sia consentita qualche considerazione, e, alla fine, qualche pronostico.
Nel sottotitolo abbiamo identificato quanto è avvenuto come “la crisi del secchiello”, quello che i bimbi portano in spiaggia insieme alle palettine e ai tanti altri giochini per trascorrere il tempo a mescolare sabbia, acqua, pietruzze e conchiglie, se la spiaggia è pulita, a volte anche plastica e qualcos’altro quando è sporca.
La “crisi del secchiello” si riferisce a qualcosa che più assurdo non si può immaginare, perché ha fatto emergere tante cattiverie, contraddizioni, ripicche, asti che covavano sotto la cenere e che, grazie a un personaggio del quale parleremo in conclusione, sono esplose, mettendo a nudo, una volta per tutte, le meschinità degli attori sul palcoscenico.
Iniziamo col dire che Mario Draghi è caduto per aver accettato di porre la fiducia sulla mozione “di sinistra” proposta da Pier Ferdinando Casini, due righe (“Il Senato, udite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri, le approva”), che chiedevano di votare la fiducia avendo ascoltato la stringata dichiarazione del Premier.
Era palesemente inaccettabile da parte di Draghi la mozione proposta dal leghista Roberto Calderoli, molto più lunga e articolata, che proponeva la fiducia previa accettazione una serie di proposte e sul presupposto che ci fosse un rimpasto di governo con la esclusione di ciò che rimane del M5S; richiesta palesemente inaccettabile da parte di Draghi il quale ha impostato il tutto sul presupposto che il M5S gli confermasse la fiducia; accettare la mozione di Calderoli avrebbe significato smentire quella volontà, partire dalla estromissione di Conte e vivacchiare per qualche altro mese, giacché, se questo fosse avvenuto, nessuno poteva garantire che da parte della destra che lo “sosteneva” non ci fossero state altre pretese.
E giacché i personaggi di cui parliamo sono senz’altro subdoli e infidi, ma certamente non stupidi, nessuno ci toglie dalla testa che la destra avesse previsto tutto, e ha provocato volutamente la caduta del governo, decidendola durante la riunione tenutasi nella dimora romana di Berlusconi, Villa Grande sull’Appia antica, presenti tutti gli esponenti di FI e della Lega, tutti intorno al padrone di casa che amabilmente stringeva la mano della sua nuova compagna, come riportato da tutti i giornali italiani e qualcuno anche estero e dalle reti televisive.
Se è vero questo, e noi lo crediamo, i signori della Destra, FI e Lega, hanno spianato la strada alle elezioni anticipate avvalendosi del personaggio col quale vogliamo concludere, nella speranza che la destra, ma quella formata anche, da Fd’I di Giorgia Meloni, si ricompatti.
Ma intorno a chi?
All’incartapecorito Berlusconi, che ha ancora la buona volontà di “scendere in campo”, come ripetutamente sta dicendo, ma facendosi rappresentare da mezze figure come Tajani, visto che FI pure sta perdendo pezzi?
E chi rappresenterà la destra nella prossima tornata elettorale, se non Giorgia Meloni, il cui partito i sondaggisti (Euromedia 21/07) danno al 22,0%; Lega è al 14,6%; FI è all’8,6%: insieme arriverebbero al 43,2%, ma riusciranno a rimanere uniti?
Un dato ci lascia alquanto perplessi, vale a dire il sondaggio che riguarda il gruppo degli scissionisti di Luigi Di Maio, che viene dato all’1,6%, un dato che non ci convince, specialmente se paragonato a quello attribuito al M5S di Conte, dato al 10,7% (?), anche perché tra i Contiani e i DiMaiani c’è un assestamento se è vero, come sembra, che dal residuo M5S parecchi altri sembrano intenzionati ad uscire, e Di Maio li sta aspettando a braccia aperte; a meno che gli ulteriori fuoriusciti non decideranno di fondare un altro partito-movimento, il che contribuirebbe alla dissoluzione di quel che rimane del vecchio movimento di Grillo.
Veniamo ora alla conclusione del discorso.
È fuori da ogni dubbio che il triste epilogo del Governo Draghi, indipendentemente da ciò che abbiamo sostenuto parlando dei “travagli” di Lega e FI, ha un solo responsabile, Giuseppe Conte il quale, a nostro avviso, è stato guidato esclusivamente dal livore verso l’usurpatore Mario Draghi, che gli ha soffiato la poltrona, e non sa ancora bene ciò che vuole, se non vendicarsi di Draghi.
D’altronde, come abbiamo già detto qualche giorno fa, Giuseppe Conte, non potendo partecipare alle riunioni del Consiglio dei Ministri, e non fidandosi dei Ministri 5S che lo componevano (e ancora lo compongono visto che Draghi li ha confermati tutti, anche quelli facenti capo a Conte), ha messo in campo una serie di iniziative finalizzate a sfiancare Draghi, ed è stato costretto a scrivere ciò che chiedeva, in cambio del rinnovo della fiducia, in un lungo documento scritto consegnato a Draghi, che certamente sarà stato letto dal destinatario, il quale però ufficialmente non ha fatto seguito.
È legittimo chiedersi cosa abbia guadagnato Giuseppe Conte da tutto ciò.
A nostro avviso Conte da tutto ciò ha guadagnato meno che nulla: ha un residuo di partito-movimento che continua a perdere pezzi, personalmente non è candidabile perché dovrebbe lasciare il partito che attualmente presiede, anch’egli ha spine nel fianco che aspettano solo il suo allontanamento dal residuo movimento per cercare una rivincita (Di Battista, il girovago presenzialista).
Quindi Giuseppe Conte ha fatto una guerra senza avere una strategia e peccando anche nella tattica; non dobbiamo dimenticare che nell’ultima assemblea fiume (durata circa 40 ore) convocata tramite la piattaforma zoom, ad un certo punto non avendo risposte da dare ai convenuti, sembra che abbia spento il collegamento.
Quindi gli elettori non sanno cosa abbia veramente chiesto a Draghi, ma sanno che non ha ottenuto nulla.
Se Giuseppe Conte non si fosse intestardito nella sua azione e avesse votato la fiducia a Draghi oggi saremmo tutti più contenti, lui per prima.
Un pronostico e una speranza almeno per chi scrive: che dalle urne il 25 settembre esca un risultato che non premi una destra sovranista e che consenta al Presidente Mattarella di potersi ancora avvalere dell’apporto di Mario Draghi per far giungere a compimento le riforme messe in campo.