Crisi di governo, la quadra tra responsabili o disperati?
Responsabili o disperati. Sono i due aggettivi che vengono in mente per cercare di dare un senso ai comportamenti degli attori impegnati a chiudere la crisi di Governo.
L’alternativa sono le elezioni anticipate. Evitarle è una responsabilità per non stressare il Paese o una scelta di convenienza per chi ha bisogno di tempo per recuperare appeal e credibilità?
Con tutto quello che si sono detti, reciprocamente, in negativo appare improbabile che M5S e PD possano trovare un’intesa per una lunga e fattiva convivenza su programmi ed uomini condivisi. Discuterne è la regola aurea della democrazia parlamentare, altra cosa sono tenuta e qualità dell’opera di Governo.
Si capisce, in questa fase, il tentativo del M5S di riaffermare la propria centralità in questo Parlamento dopo il fallito esperimento con la Lega. Da qui la richiesta di un Conte bis o, in subordine, riservare la poltrona più alta di Palazzo Chigi ad un pentastellato politico o adottato. Viceversa, non si comprende quale “svolta politica” possa imboccare il Segretario del PD, Nicola Zingaretti, accettando di intavolare il confronto sui dieci punti indicati da Luigi di Maio estrapolati dal “contratto di governo” redatto e già condiviso dalla Lega.
É legittimo chiedersi: come mai i suoi contenuti erano ritenuti dannosi per l’Italia ed ora sono utili come base per un Governo giallorosso?
Vi si prefigurano interpolazioni che non ne stravolgono gli indirizzi ma consentono di tenere aperto il dialogo; la più significativa riguarda la proposta di accompagnare la riduzione dei parlamentari, irrinunciabile per i pentastellati, con una riforma della legge elettorale in senso proporzionale.
Il che fa pensare, malignamente o no, alla definizione, come atto prioritario, anche a futura memoria, di uno strumento che attraverso la frammentazione delle rappresentanze consenta alle Segreterie dei partiti di detenere il potere di fare e disfare maggioranze e Governi, a prescindere dagli orientamenti usciti dalle urne.
Al di là del beneficio delle buone intenzioni, non è fuori luogo pensare ad una sorta di salvacondotto per chi ha paura delle urne e non perdere il controllo dei Palazzi del potere politico. É azzardato affermarlo, ma è realistico immaginarlo come comune interesse di PD e M5S a tenere a bada il trasbordante appeal della Lega. Di fronte ad un elettorato frastornato ed imperscrutabile nei sentimenti non è facile tracciare una linea di demarcazione tra responsabilità e disperazione per chi opera nelle istituzioni con l’assillo dello spoglio delle urne.
Per non dimenticare, va ricordato che in passato l’elettorato italiano ha sempre punito i promotori di leggi elettorali concepite per non perdere o non far vincere i loro competitori: è accaduto, in sequenza, con il mattarellum, con il porcellum che lo ha sostituito ed il rosatellum in vigore. Come dire che quando la “paura fa novanta”, anche i dem, se pressati da un possibile ritorno alle urne, a breve e lungo termine, non sanno quello che fanno. O meglio, dovrebbero saperlo perché più scafati dei grillini, già sedotti dalla Lega.