Crisi di governo, in scena le quote dei bookmaker
Crisi di governo, in scena le quote dei bookmaker
Le crisi di Governo in una democrazia parlamentare non sono una anomalia e non sono un dramma i ricorsi ad elezioni anticipate per rinnovare un Parlamento incapace di esprimere maggioranze politicamente coerenti.
Viceversa, fanno specie, in imminenza della scadenza di legislatura, le motivazioni sottese ad una manovra che sa di fuga da responsabilità di Governo.
Lo strappo posto in essere dal M5S al Senato, che ha indotto Mario Draghi a rassegnare il mandato da Premier, ne offre punti di riflessione che non hanno precedenti nella storia repubblicana, essendo opera di una forza politica di maggioranza relativa e perno di tre consecutive coalizioni di Governo praticate nell’arco di quattro anni e mezzo di legislatura.
Le prime due sperimentate, rispettivamente, con Lega e poi con PD, partiti contrapposti per ispirazione e cultura politica, e la terza nel segno di una solidarietà nazionale necessitata da emergenze, a prescindere da specifiche radici o originarie vocazioni dei singoli partner.
Perciò, la rivendicazione, da parte dell’ex Premier Giuseppe Conte, del rispetto delle identità del M5S disattese o non ascoltate dal suo successore a Palazzo Chigi, Mario Draghi, si presta a facili ironie come attitudini al galleggiamento: comprensibile sul piano psicologico, politicamente inadeguata a fronte di una situazione grave, pasticciata e poco seria che si è venuta a determinare a danno dell’Italia.
Perché, è spropositato, per non dire ridicolo, che si possa dare adito ad una crisi di Governo, tra l’altro, anche per un si o un no alla realizzazione di un termovalorizzatore a servizio del Comune di Roma. E risulta anche indecifrabile il senso di non contestualizzare la negazione di fiducia su un documento redatto e proposto dal Governo senza le dimissioni dall’Esecutivo dei grillini che ne fanno parte.
Qualunque sarà lo sbocco dell’intervento del Premier dimissionario in Parlamento, calendarizzato per il prossimo mercoledì 20 luglio, resta aperta la questione della formazione ed elezione della rappresentanza politica dei corpi sociali esposte a repentine mutazioni di sentimenti o di orientamenti.
Si tratta di inquietudini da malesseri comuni nell’emisfero delle democrazie occidentali manifestati sotto forma di astensionismi o di alternanze e riflussi in ambiti di tradizionali famiglie politiche. Mentre, in casa nostra la loro sterilità di pensiero politico seguita dalla frantumazione di credibilità ha dato luogo a trasformismi parlamentaristici ed alla insorgenza nel Paese reale di movimenti di protesta. Nel linguaggio e cronaca correnti vengono appellati “populisti”, in realtà si tratta di manifestazioni di insoddisfazioni a domande senza risposte da parte delle élite di potere.
In esse si inscrive la parabola pentastellata: nata come movimento, ha raccolto più consensi degli altri nelle consultazioni del 2018 e si è sfibrata a conclusione di tre esperienze vissute nel Palazzo di Governo dal quale sembra defilarsi maturando incubi esistenziali politici, elettorali e personali.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella le ha provate tutte per far sopravvivere la legislatura ed essendo arrivata al capolinea anche la solidarietà nazionale non sembra che abbia altre soluzioni da porre in essere per non far rinnovare la composizione del Parlamento, fatta salva l’assunzione di misure di salvaguardia per i conti e gli equilibri finanziari dello Stato.
Per il resto non c’è che affidarsi alle quote dei bookmaker per la tenuta di Mario Draghi, la composizione della crisi o il rimando alle urne.