Coronavirus, silenzio e misericordia per un nuovo orizzonte
Restate a casa e tutto andrà bene si consiglia agli italiani i quali stanno dimostrando di avere compreso il messaggio, al di là di trasgressioni più o meno diffuse registrate in diverse città.
Si può dire che ci sia stata, finora, una sostanziale presa di coscienza del rischio coronavirus, manifestata, in maniera diversificata, ma convergente, attraverso silenziosi atti e gesti di solidarietà e rumorosi canti di sfida, di orgoglio ed appartenenza.
Ne ha colto gli umori il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, esortando ad operare con lo stesso spirito unitario posto in essere nella ricostruzione del Paese devastato dalla seconda guerra mondiale.
L’appello ha aperto uno spazio di comunicabilità tra le forze politiche di opposizione ed il Premier Giuseppe Conte il cui slogan “uniti si vince”, rivolto anche a chi lo sostiene, dovrà avere sbocco il Parlamento. E questa sarà una buona notizia da verificare nel tempo dopo la fase di provvedimenti presi in solitudine nelle stanze di Palazzo Chigi ed in sequenza annunziati e rettificati tramite canali non propriamente istituzionali. Se ne capisce la pregressa frenesia, in parte dovuta, nell’intento di frenare la velocità di propagazione del contagio, non senza un risvolto politico-mediatico di fare sapere che se c’è una squadra e se ci sarà il coach è lui.
Legittima aspirazione da parte di chi ci ha messo la faccia nella gestione della crisi, ma il riconoscimento del suo ruolo non esclude, anche in condizioni di emergenza, la dialettica del dissenso e dell’alternativa di proposte ed obiettivi.
Restando nello spirito della semantica bellica, va riconosciuto che l’anonimato del nemico non rende agevole l’attivazione rapida di strategie di contrasto efficaci nell’immediato sul piano socio-politico ed economico. La risposta medica in difesa della salute è nelle menti degli scienziati e, soprattutto, è nelle mani e nei cuori degli operatori sanitari ai quali spetta, ai vari livelli, il podio della generosità.
Altra cosa è la responsabilità per la tenuta della convivenza politica e culturale di cui si intravedono punte di inquietudini manifestate in maniera differenziata sia sul piano territoriale (Nord/Sud) che sociale fra categorie produttive e professionali.
La visione realistica che se ne deduce al momento è quella della biblica Babele nella cui torre ci sono dolore, smarrimento ansia ed anche tanta confusione di ruoli tra Governo e Regioni ed altrettanta conflittualità tra sindacati ed operatori economici intossicati da residui ideologici agitati nei serbatoi dei politicanti e nella quotidianità delle bagarre dei social e dei talks-show che ne fanno l’eco.
Tutto questo non è segno di buona salute per qualsiasi Governo costretto a barcamenarsi tra i suggerimenti forniti dai tecnocrati, i cosiddetti depositari di saperi e know how, e la contemporanea acquisizione del consenso popolare che è anima e sostanza della democrazia.
Si tratta di un bilanciamento che manca, per carenza di autosufficienza politica, al Governo il cui Premier, Giuseppe Conte, sente sul collo il fiato di Maro Draghi, tecnocrate condiviso da un largo schieramento di forze politiche.
Per onestà intellettuale, va detto, che il problema bilanciamento non è soltanto italiano ma di sistema ed è comune alle democrazie occidentali dimezzate nei poteri decisionali non solo dalla natura ed estensione dell’uso delle tecnologie digitali ma anche da una globalizzazione selvaggia che ne ha alterato le identità.
La crisi finanziaria del 2007 ne è una risultante che non si è ancora sanata. Si dice che abbia prodotto danni pari ad una guerra mondiale e la stessa cosa si ripete nel linguaggio corrente anche per la pandemia da coronavirus.
L’analogia auspicata con il dopoguerra per la ricostruzione é suggestiva, ma non é esaustiva. L’impegno allora richiesto e profuso riguardava la ricostruzione fisica dalle macerie dei bombardamenti ed una nuova costruzione politica e culturale della democrazia e dei suoi istituti. Oggi, al di là della ripetizione del ricorso al debito pubblico per investimenti e lavoro, si tratta di curare i mali di istituzioni vetuste e ferite da una esperienza politica e culturale vivente.
Su questo fronte è meglio far tacere le trombe nel clima di mestizia di una comunità a lutto che reclama misericordia. E’ preferibile un “silenzio” di rispetto e di meditazione, lasciando che “esso separi la verità dalla menzogna”.
E’ un suggerimento mistico dell’induista Gialal Al-Din Rumi che può valere anche per gli operatori della politica che hanno voglia ed attitudine a guardare verso orizzonti lontani.