La polemica nord/sud dilagante nei social più che uno schiaffo è una stonatura rispetto ai tricolori ed ai cori anti coronavirus esibiti alcune settimane fa in tutta Italia. Risulta, viceversa, qualcosa di più di una semplice cacofonia il linguaggio volutamente aggressivo andato in onda sui media di larga diffusione ad opera di cosiddetti opinionisti o di chi ha responsabilità istituzionali.
L’uso degli aggettivi “terroni” e “polentoni” da “sfottò” tra tifoserie di curve contrapposte ha assunto paradigmi antropologici da quando è divenuto un genere di spettacolo interpretato da opinion leader delle compagnie di giro televisivo ogni qualvolta che si attivano confronti su pratiche politiche ed amministrative poste in essere nelle diverse aree del Paese o sulle rispettive eredità storiche e culturali.
A parte le folkloristiche nostalgie neoborboniche e suggestioni neoceltiche, il dibattito finisce con il privilegiare luci ed ombre sulle capacità di governo dei ceti egemoni dei diversi territori. In questo senso quelli meridionali hanno da farsi perdonare costumi ed attitudini incompatibili con il valore del bene comune, avendo dato corso nel tempo a stereotipi e sinonimi di spreco di risorse pubbliche e di illegalità diffusa.
Altra cosa è la cultura dei valori celebrata da una letteratura condivisa, da Manzoni a Verga e, per amplificarne l’esemplificazione, vale ricorrere anche alla saggezza popolare del “Bellavista” di De Crescenzo che attribuisce prevalenza di “amore” nei napoletani e di “libertà” nei milanesi: due sentimenti che si fondono nell’essere e vivere dell’uomo. Perciò, ogni significato dispregiativo che si voglia dare all’aggettivo “terrone” non può che essere accolto come un lapsus di senescenza intellettuale e, di converso, un risposta piccata di chi ricorre all’altro aggettivo “polentone” per affermare un giudizio a sua volta di valore negativo.
Ciò non vuol dire che non esiste una “questione meridionale” ed un’altra più recente che riguarda la parte settentrionale del Paese. Si tratta di problemi di natura politica non sanati, nonostante un comune patrimonio di valori ed interessi nazionali da condividere e difendere. E qui non c’entrano nulla i clamori tra sovranisti ed europeisti. Perché la “questione meridionale” è in cantiere sin dalla costituzione dello Stato unitario e quella settentrionale si è manifestata a seguito della sperimentazione del regionalismo. Il che sposta la riflessione su come si è espressa la rappresentanza politica dei ceti egemoni a Sud, prevalentemente in termini di rivendicazioni assistenzialistiche, ed a nord nel drenare risorse per un modello di sviluppo capitalistico.
Gli squilibri sono venuti al pettine del coronavirus in entrambe le aree geografiche, offrendo materiali per risentimenti e motivi di disgregazioni ed accentuando le diseguaglianze economiche e sociali. Si capisce così perché l’oratoria corrosiva della propaganda prevale sulle riflessioni su ciò che è successo in Italia negli ultimi vent’anni: “l’oblio della Nazione” – secondo quanto osservato dallo storico Emilio Gentile – a seguito della decadenza dello Stato “in quanto istituzione riconosciuta e rispettata dai cittadini”.
Ed è la carenza della sua dimensione etica di garante di diritti e di governo dei bisogni una delle chiavi di lettura (oltre agli effetti della crisi finanziaria mondiale) delle inquietudini del mondo del lavoro, delle produzioni e delle emarginazioni. Già avvertite prima della pandemia ora lasciano poco spazio e tempo alle querelle su centralismo ed autonomie.
C’è prima da risanare e ricostituire il senso di comunità nazionale, con buona pace dei mondialismi. I Governatori del Sud hanno l’occasione per interrompere i maldicenti cabaret sui “terroni” e dare ai “polentoni” una “lezione di capacità organizzativa”: parole di sfida pronunziate da Vincenzo De Luca nell’ultimo suo appuntamento televisivo.
La realtà è un’altra, chi viene a casa tua e si comporta come se fosse a casa sua è un testa di ca…, quindi terrone non vuol dire altro che questo. Ci sono persone del sud rispettose e che quando vanno a casa degli altri si comportano bene, ci sono invece dei delinquenti che sulla base della corruzione prima e dell’oligopolio poi si impossessano di posti di lavoro a loro non spettanti, sulla base di un domicilio, senza fare parte del tessuto sociale, come vorrebbe il federalismo. Le grandi città, non fanno altro che nasconderli, ci sono persone che non riescono ad entrare nella pubblica amministrazione e loro cosa fanno in oligopolio con ormai chi comanda in italia loro amico: Senza avere una casa o vivere nel posto, creano un concorso, vedi ad esempio i navigator, 1 mese di lavoro, persone con famiglia al sud che lavorano al nord (non parlate di sacrifici ma di truffa), con il coronavirus hanno fatto 7 mesi di vacanza, inoltre gli viene creato un concorso ad hoc per farli entrare dove non riuscirebbero mediante test attitudinali che non servono a lavorare, che loro potevano studiare mentre chi sostituiranno lavorava! Senza avere nemmeno una casa nel posto, vanno a rubare i posti di lavoro dei residenti, esattamente come i frontalieri all’estero. E’ una vergogna