Al numero delle vittime che conteremo in Italia e nel mondo alla fine di questa maledetta pandemia, molto probabilmente ne dovremo aggiungere un’altra: l’Unione Europea.
Nemmeno questo Sinistro Mietitore di vite umane, qual è il coronavirus, riesce a smuovere l’egoismo della Germania, dell’Olanda e degli altri paesi del Nord Europa, contrari alla condivisione dei rischi economici provocati dalla pandemia. In parole povere, senza entrare nei tecnicismi, nel Consiglio Europeo dell’altro giorno, tenuto in videoconferenza, è emerso chiaramente che non c’è la volontà di fronteggiare insieme la crisi economica dovuta al coronavirus.
Sia chiaro, non ci sono morti di serie A e di serie B. Tuttavia, non si può non evidenziare come stavolta non siamo davanti alla tragedia di poveri migranti africani che annegano nel Mediterraneo. Adesso si è al cospetto di migliaia di morti di cittadini europei e di un sistema produttivo bloccato e messo in ginocchio dalla pandemia. Eppure, nell’Unione Europea nulla cambia. Insomma, anche quando la tragedia la tocca direttamente, l’Unione non corregge la sua linea di condotta. Resta sorda, miope, divisa. E la solidarietà fra i Paesi membri, che dovrebbe essere il principio fondante dell’Unione, resta una sconosciuta.
D’altro canto, il primo ministro portoghese Antonio Costa, un socialista, è stato al riguardo di una chiarezza icastica nel definire la posizione esposta dal ministro delle Finanze olandese, Wopke Hoekstra, “ripugnante” e “insensibile”, rappresentando “una minaccia per il futuro dell’Unione Europea”.
“Se l’Unione non è solidale, il progetto europeo è finito” ha chiosato, da parte sua, il nostro premier Conte.
E’ triste dirlo ancora una volta, proprio adesso che una tragedia comune colpisce il Vecchio Continente, ma questa Unione Europea non è affatto quella sognata dai padri fondatori. Non è l’Europa di Spinelli e di Monnet, di Schuman e di Spaak, di De Gasperi e di Adenauer. Si rivela, al contrario, sempre un’Europa meschina, unita dalla finanza, dal mercato, dal dio danaro, più che dalla politica, dalla cultura, dai valori di solidarietà e fratellanza.
E’ un’Europa che non ha orizzonti se non quelli di moderni nazionalismi camuffati da un europeismo di facciata e di convenienza.
Questa volta, però, l’Unione rischia davvero di saltare. Non solo e non tanto perché avranno terreno fertile le componenti politiche euroscettiche e sovraniste, ma soprattutto perché se le economie nazionali più deboli, come è il caso dell’Italia e della Spagna, non avranno a disposizione ingenti risorse economiche rischiano il tracollo. Il coronavirus, infatti, avrà sul sistema produttivo un effetto devastante quasi quanto quello di una guerra persa. In breve, se affondano alcuni grandi paesi, come il nostro e la Spagna, giocoforza si tireranno dietro anche altri. E l’Unione Europea, per la piccineria di oggi, potrebbe risultare la prima ad essere tirata giù.
D’altronde, a lanciare un autorevole grido d’allarme è addirittura Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea, il quale, in una lettera al Financial Times, ha scritto che ci troviamo di fronte a una guerra contro il coronavirus, e che occorre agire con forza e velocità. In altre parole, Draghi sostiene che “un cambio di mentalità è necessario in questa crisi come lo sarebbe in tempi di guerra… Il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile. La memoria delle sofferenze degli europei negli anni 20 del ’900 sono un ammonimento”. “E, come europei –suggerisce- serve sostenerci uno con l’altro in quella che è evidentemente una causa comune”.
“La lettera di Draghi al Financial Times andrebbe letta e imparata a memoria” è stato il commento lapidario ed illuminato di Matteo Renzi, al quale l’intelligenza di sicuro non fa difetto.
Per ora, nell’Unione i consigli di Draghi sono stati inascoltati. Chissà se avranno migliore fortuna presso i nostri governanti.
Nel frattempo, il coronavirus continua a falcidiare la popolazione in Italia come in Spagna, in Francia come in Usa. E a distruggere le economie, i sistemi produttivi, i posti di lavoro.
In conclusione, ci vorrebbe un mega-piano Marshall europeo, una politica economica come quella roosveltiana del New Deal americano ispirato dalle teorie economiche keynesiane.
Il problema di fondo, però, in Italia e quasi allo stesso modo anche in Europa, è la scarsità di uomini di statura politica elevata, adeguata ai tempi che viviamo e a quelli più duri che ci aspettano. Per un Draghi all’altezza, tanto per capirci, ci ritroviamo una folla di nani. In altri termini, non sarà facile venirne fuori.
Allora, prendendo in prestito dal duo Benigni-Troisi, non ci resta che piangere? Assolutamente no. Nella vita sono le difficoltà a temprare lo spirito, a far affiorare e lievitare il meglio che è in noi. E nelle emergenze noi italiani riusciamo ad esprimerci al meglio e più degli altri. Anche se ciò potrebbe voler dire rimboccarsi le maniche e salvarsi da soli, a prescindere dall’Europa. Non è una prospettiva allettante, ma prepariamoci al peggio.
In ogni caso, per aspera ad astra…