Concita e le parole concitate
Parole troppo forti per passare inosservate. E così una pioggia di critiche si è abbattuta sulla giornalista.
“Cretini integrali, decerebrati assoluti che in un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali”.
Questa è parte dell’invettiva che Concita De Gregorio, su Repubblica, dedica a dei ragazzi tedeschi rei di aver danneggiato una statua nel varesotto. Parole troppo forti per passare inosservate. E così una pioggia di critiche si è abbattuta sulla giornalista. Lei risponde con delle scuse e puntando il dito contro il politicamente corretto. Quindi non delle scuse sentitissime.
Ma qui il politically correct non c’entra. Al di là dell’oggetto della critica, ovviamente condivisibilissimo, usare la disabilità a mo’ di insulto non è accettabile. Un po’ come quando i ragazzini usano parole come “handicappato” o “mongoloide” per offendersi. Qui si parla di carta stampata, quindi un’aggravante. La penna può essere una lama e le parole dei proiettili. Proiettili scagliati da una giornalista del calibro di Concita De Gregorio, calibro 9 per l’appunto.
Le parole vanno ponderate e soppesate poiché, come recita un adagio, la forma è garanzia di sostanza. Se il “lanzichenecchi” usato da Alain Elkann qualche settimana fa, sempre su Repubblica, per identificare dei ragazzi “sempliciotti” che erano in treno con lui ha il sapore di classismo, le bordate della De Gregorio sono miasmi di superficialità.