Comprendere la Destra
Discettare sulla destra politica, come vorrebbe fare Bocchino nel suo libro, non è dissimile dal comprendere lo stile montanelliano che, tutto sommato, aveva una tale chiarezza inequivoca, una forza scevra di retorica, che quasi quasi ti convinceva a sposare qualunque opinione

Riflettendo sull’evento di giovedì scorso all’Holiday Inn, in cui si è presentato l’ultimo libro di Italo Bocchino dal titolo “Perché l’Italia è di destra”, la mente mi è subito corsa alla lettura passata di qualche libro di Indro Montanelli, e non ve lo nasconderò: aver letto questo gigante del giornalismo italiano mi ha sempre procurato un godimento tutto personale. Anche quando mi capitava (cosa in fondo fisiologica) di essere in disaccordo con la sostanza di ciò che scriveva, pensavo che pur non condividendo tutto quel che diceva mi piaceva da matti il modo in cui lo riportava.
Discettare sulla destra politica, come vorrebbe fare Bocchino nel suo libro, non è dissimile dal comprendere lo stile montanelliano che, tutto sommato, aveva una tale chiarezza inequivoca, una forza scevra di retorica, che quasi quasi ti convinceva a sposare qualunque opinione. Perciò ho accolto con una leggera diffidenza l’uscita di questo volume di Bocchino per capire se la sua opinione sulla destra italiana contemporanea (Lega e Fratelli d’Italia, entrambe attualmente egemoniche su Forza Italia) la riconosca come un fenomeno che non ha eguali, per dimensioni del consenso nonostante le connotazioni ideologiche, in Europa occidentale.
Non per questo va però studiata come un caso deviante e peculiare del nostro Paese. Al contrario, va compresa nel quadro delle dinamiche tipiche e ricorrenti del “campo ideologico” moderno e, in particolare, delle relazioni tra destre conservatrici e liberali. Non so fino a che punto l’idea di destra del giovane ex-politico missino collimino con il ‘vecchio’ Montanelli, le cui considerazioni politiche sulla destra di quest’ultimo -senza giri di parole- partivano da Garibaldi fino a Beppe Grillo, praticamente coloro che disfecero l’Italia: quell’Italia che secondo l’esimio decano dei giornalisti italiani fu un Paese mancato sin dalla nascita, e che tale sarebbe rimasto.
A differenza di Montanelli nel libro del nostro autore si ravvisano velleità alla Eric Hobsbawm (che di mestiere lo storico lo faceva davvero) per avere la pretesa di leggere il passato con la lente del protagonista di un “secolo breve”. Tuttavia ciò che appare encomiabile è l’amore viscerale dell’autore per la destra, auspicabile anche negli italiani e comunque non del tutto convincente a differenza del compianto Indro, le cui tesi sapevano essere intelligentemente caustiche, ma anche -alla fin fine- consapevoli della debolezza umana.
Sull’eventualità poi avanzata dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, di far adottare tale libro nelle scuole mi permetto seriamente di dissentire non foss’altro che se proprio debba esserci un ‘colpo di mano’ da parte di questo Governo a imporre testi scolastici di chiara matrice destroide, farebbe d’uopo che l’opzione cadesse sul Grande Vecchio del Giornalismo Italiano, i cui libri davvero palesano una fondata accezione storico-politica i cui giovanissimi studenti-lettori (che, per ovvie ragioni, non lo conobbero quand’era in vita) potrebbero anche divertirsi a sostituire nella testa i nomi famosi con gli ‘eroi’ della scena attuale, riconoscendo le sempiterne dinamiche insite nella politica e nella società italiana.
Dunque dal non più giovane adepto di Almirante ci si aspettava un autentico libro che offrisse oggettivamente il polso degli italiani su tale delicato argomento, peraltro con un titolo a dir poco pretenzioso per un’opera che, senza sostanziali prove documentali, pretende di raccontarci la storia d’Italia post-bellica con un’ottica molto personale, in netta contrapposizione alle giuste e convincenti riflessioni di un autentico campione del linguaggio scritto come Indro Montanelli.