Non si conosce ancora il giorno in cui si terranno le prossime elezioni comunali, quasi di sicuro una domenica di maggio, ma già si può affermare che vi parteciperà un esercito di candidati. Ad oggi, infatti, tra annunciati o presunti, siamo già a 8 se non addirittura 9 candidati a sindaco, mentre si prevedono 10-12 liste di candidati al Consiglio comunale. Fatti i conti, ci saranno qualcosa come 300 cacciatori di voti che batteranno palmo a palmo, frazione per frazione, condominio per condominio, l’intero territorio comunale. Sarà una dura prova per loro, ma anche per le prede, gli elettori cavesi, che dovranno sopportare sollecitazioni e pressioni di ogni tipo e poi scegliere, e non sarà facile, chi votare, a meno che non si decida di disertare le urne come forse in molti faranno.
Questa pletora di candidati, però, molto probabilmente non è un accidente della storia, ma la conseguenza della crisi di una città e della politica.
Mai come adesso, infatti, la città appare sonnolenta e disorientata, se non addirittura impaurita e assente. Una città quantomeno distratta e impigrita rispetto ai grandi temi, dall’ambiente alla legalità, dai diritti civili a quelli sociali, tanta da apparire avviata in un percorso a basso tasso di civismo. La vivacità civile, politica e culturale di un tempo sembra essere stata messa in soffitta un po’ dalla crisi economica e sociale, un po’ dalle nuove forme virtuali di partecipazione offerte dai social, che spesso si rivelano essere solo autoreferenziali vetrine di uno stupidario diffuso.
E forse mai come adesso è in crisi la politica, così come in generale lo è nel resto del Paese. Nella valle metelliana questa difficoltà trova la sua specificità nell’implosione dei due schieramenti tradizionali, destra-sinistra, nella mancanza di una reale, credibile, netta alternativa di governo, nell’assenza di una leadership riconosciuta e condivisa, nel deficit complessivo di una classe dirigente, non solo quella strettamente politica. A ciò si aggiungono altri due elementi decisivi. Il primo è che, aldilà del rosario dei buoni propositi, non s’intravede un credibile e complessivo progetto politico capace di suscitare speranza ed entusiasmo, né tantomeno si rintracciano un’idea forte o una linea guida. Il secondo è l’assenza di una reale e larga partecipazione della gente, che non segue, lo fa sempre di meno e con disattenzione, senza slancio e convinzione.
Da tutto ciò, senza per questo escludere altro, molto probabilmente scaturisce questa frammentazione dell’offerta politica che, mai come in questo caso, non è sinonimo di pluralismo, bensì di inquietudine e confusione, di smarrimento e inadeguatezza, di pochezza e declino.
E allora? Mah, non è facile uscire dal buco dove siamo andati a finire. E non tutto, in verità, dipende da noi, in quanto cavesi. Certo, ci farebbe bene uscire dalla logica del conte Ugolino, di divorare tutto ciò che ci circonda; in altri termini, smetterla di azzannarci a prescindere. Allo stesso modo, non guasterebbe trovare un minimo comune denominatore per dare un futuro alla città. In ultimo, può tornare utile sforzarci di guardare oltre il proprio orticello. Insomma, lo spazio della politica va riempito di uomini e contenuti; in breve, di un impegno in prima persona e non sempre solo di deleghe e belle parole. In fondo, lamentarsi della cattiva politica e poi girarsi dall’altra parte non è la soluzione, anzi. La verità è che i problemi li risolve sempre la politica, ma dicendo ciò non pensiamo necessariamente solo ai politici di oggi, bensì a quelli che sarebbe auspicabile ci fossero.
In conclusione, parafrasando il concetto di nazione del filosofo Renan, potremmo dire che la città, intesa come comunità, è determinata da due fattori: l’aver realizzato insieme grandi cose nel passato e il volerne fare ancora per l’avvenire. In altre parole, saremo o torneremo a essere ancora una città, una comunità di tutto rispetto, se metteremo in campo la volontà di costruire insieme un futuro.
Non sarà facile, ma almeno dovremo provarci. (foto Angelo Tortorella)