Cava de’ Tirreni, il contributo di Enrico Passaro all’incontro di sabato prossimo su società civile e politica: «È la comunità cavese nel suo complesso che deve credere di riuscire a “ritornare grande”»
La crescita di una città non può dipendere soltanto dalla lungimiranza della politica. Coraggio, professionalità, visione, iniziativa, onestà e leadership si chiedono oggi a chi dovrà apprestarsi a candidarsi per la guida del Palazzo, ma “l’eletto” (non solo attraverso le urne, ma anche in senso figurato) potrà fare tutto da solo? Non dovrà contare necessariamente su un partecipe spirito d’impresa e d’intrapresa proprio della “società civile”?
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Il malessere che si avverte in città da qualche tempo è sempre più palpabile. Il 2025 si avvicina e Cava de’ Tirreni dovrà eleggere la nuova amministrazione comunale. Sono passati 31 anni dalla prima elezione diretta del sindaco a seguito della legge elettorale 25 marzo 1993, n. 81. Da allora ad oggi abbiamo avuto 5 sindaci: Raffaele Fiorillo (il primo ad aver sconfitto per ben due volte, nel 1993 e nel 1997, Eugenio Abbro), Alfredo Messina, Luigi Gravagnuolo, Marco Galdi ed Enzo Servalli. Di questi soltanto Fiorillo e Servalli hanno amministrato per due mandati, mentre Messina, Gravagnuolo e Galdi non sono riusciti a concludere pienamente il loro mandato di 5 anni. Per la statistica, 3 sindaci appartenevano all’area progressista e 2 a quella di destra; alla scadenza di quest’ultima tornata la sinistra avrà tenuto le redini del Comune per circa 22 anni, contro i 9 della destra. Due soli sindaci sono stati eletti al primo turno, evitando il ballottaggio: Galdi nel 2010 e Servalli nel 2020. In mezzo, due gestioni commissariali disposte dalla prefettura di Salerno, per gli scioglimenti anticipati delle amministrazioni Messina e Gravagnuolo.
Questi i dati in sintesi di un trentennio di politica e amministrazione cittadina. Il bilancio in termini di risultati, di programmi, di obiettivi, di crescita o decrescita della città, sono alla base di una sofferta reazioneda parte della società civile, che ha generato oggi un’iniziativa pressoché spontanea, all’affannosa ricerca di soluzioni per definire un futuro di sviluppoeconomico, sociale e civile, e forse anche di riscatto rispetto ad un insoddisfacente presente.
Ho seguito nei giorni scorsi, caro Direttore, il dibattito che si è sviluppato sulle pagine del tuo giornale, attraverso interviste rivolte a cittadini in qualche modo rappresentativi di un disagio diffuso e di una legittima aspettativa di maggiore qualità nella gestione amministrativa della nostra comunità. Sono anche a conoscenza di quanto ci si stia mobilitando da tempo per cercare nuove soluzioni per la guida della città. In parte sono stato e sono più volte chiamato in ballo per un’ipotetica (e un po’ fantasiosa) prospettiva futura di coinvolgimento personale.
Proprio in virtù della considerazione manifestata da più parti nei miei confronti, di cui sono onorato e grato, ritengo doveroso quantomeno partecipare all’interessante dibattito al quale sono stato invitato, con alcune mie riflessioni.
Leggo nelle dichiarazioni degli intervistati e ascolto dalle parole di quanti si sono confrontati con me attraverso amichevoli chiacchierate sotto i portici, che da parte di tutti, tutti, si esprime disagio e apprensione sulle sorti della città. Si elencano i problemi decennali: le preoccupazioni sul bilancio, la crisi del commercio, la destinazione dei beni inutilizzati, le opere incompiute, la perdita di peso politico nella provincia e di competitività con i centri circostanti, la chimera del turismo, la pericolante situazione dell’ospedale, l’irrisolta soluzione per un teatro cittadino che possa realmente definirsi tale, gli equilibrismi e il trasformismo della politica, l’apparente mancanza di un progetto, di un obiettivo. E si continua con mille altre lamentele, dall’eccesso di strisce blu per i parcheggi all’invasività dei lavori pubblici, dalle buche nelle strade alle frane, dai ritardi negli interventi di manutenzione all’approssimativa potatura degli alberi, dalla vendita del patrimonio comunale alla fantasiosa progettualità riguardante le piste ciclabili.
A tante delle giustificate osservazioni precedenti si aggiungono poi gli attacchi più pretestuosi di cui si fanno veicolo i social network: dopo la ristrutturazione “il castello non è più il nostro castello”, “colata di cemento sul trincerone” prima ancora che se ne comprenda la destinazione, “il parcheggio sotterraneo è insicuro”, “che ne sarà di piazza San Francesco!”, fino a difenderne la scalinata antistante la chiesa dal previsto smantellamento come se fosse un patrimonio storico incommensurabile.
Insomma, il mestiere di sindaco è senza dubbio uno dei più difficili e pericolosi ed io certamente non intendo iscrivermi alla schiera dei più severi e intransigenti censori. Ma è altrettanto vero che Cava difetta di una visione, di progettualità, di ambizione suffragata da azioni realistiche e concrete.
Ricorre frequentemente nelle interviste del tuo giornale la provocatoria domanda: “Cava tornerà grande?”. E mi sono chiesto: cosa significa “tornerà grande” e dove si appoggia questa idea di un passato “grande”? È vero, Cava ha avuto, ha sempre rappresentato e in parte tuttora rappresenta, una palese diversità rispetto a tanto territorio circostante, in termini di storia, di stile, di patrimonio ambientale, paesaggistico, culturale e architettonico; anche economico, fino a qualche anno fa. L’impalcatura occupazionale della valle metelliana era cospicua, attraverso importanti aziende produttive, commerciali, finanziarie. Conosciamo tutti la rapida involuzione che si è determinata in tutte queste attività negli ultimi decenni e come essa abbia procurato la perdita di innumerevoli posti di lavoro. Era grande questa città? Forse, ma evidentemente non era solida e forse è stato fatto poco, a tutti i livelli, per conservare e valorizzare il suo prezioso patrimonio complessivo. E non parlo solo delle responsabilità e del ruolo dei sindaci o delle amministrazioni comunali. Parlo anche della “società civile” che oggi meritoriamente si sta mobilitando.
La crescita di una città non può dipendere soltanto dalla lungimiranza della politica. Coraggio, professionalità, visione, iniziativa, onestà e leadership si chiedono oggi a chi dovrà apprestarsi a candidarsi per la guida del Palazzo, ma “l’eletto” (non solo attraverso le urne, ma anche in senso figurato) potrà fare tutto da solo? Non dovrà contare necessariamente su un partecipe spirito d’impresa e d’intrapresa proprio della “società civile”?
E poi: potrà scegliersi la sua squadra? Assessori, consulenti, collaboratori? Riuscirà a non sottostare alle oscure leggi della spartizione? Alle trame ricattatorie? Alla necessità di far posto a mediocri personaggi di cui necessita per conservare una maggioranza che lo sostenga? Fino a quando resisterà senza cedere alle tecniche di logoramento? Tutti argomenti che conosciamo bene.
E davvero la “società civile” potrà sostituirsi alla politica, ai partiti? E questa “società civile” dispone delle necessarie conoscenze amministrative e gestionali per muoversi agevolmente nel difficile mondo delle istituzioni, che è governato dalla politica? Sono tutte domande che è doveroso farsi, con serietà e onestà intellettuale.
Finalizzare tutte le aspettative di riscatto per la nostra città alla scelta di un sindaco, non può bastare. La “società civile”, proprio in quanto tale e per sua vocazione, deve assumersi le proprie responsabilità non solo nei riguardi della politica di Palazzo, ma anche e soprattutto verso l’iniziativa privata, imprenditoriale, associazionistica, culturale, di volontariato, di comunità. Deve operare ai fini di una motivazione generale, di dialogo, di coinvolgimento, di cooperazione, di programmazione, all’interno di ciascun settore produttivo e non ed in sinergia fra tutti. È la comunità cavese nel suo complesso che deve credere di riuscire a “ritornare grande”. E deve farlo con gli strumenti della modernità, della tecnologia avanzata, di una prospettiva d’insieme. A quel punto anche il mestiere del sindaco diventerà più facile.
Ciò non toglie che il candidato sindaco e chi si propone alla guida della città dovrà farlo sulla base di idee chiare e progetti realizzabili, disdegnando improbabili voli pindarici o manie di grandezza.
In fondo, la capacità di riorganizzare la macchina amministrativa, nei contenuti e nelle forme, l’intento di proporsi come istituzione “amica” del cittadino, la ferma determinazione a ridefinire un esercizio di opere, gestioni e manutenzioni concrete ed efficaci, aggiungendoci un po’ di grazia, gentilezza e di bellezza, costituirebbero un più che avanzato punto di partenza. E poi la capacità di saper rispettare i tempi e le modalità della progettualità. Servono amministratori capaci e dirigenti capaci.
Infine, Cava avrebbe bisogno di un paio di grossi progetti, non sporadici, ma che si consolidino nel tempo, per potersi proiettare una volta per tutte alla ribalta non solo provinciale o regionale, ma nazionale se non internazionale. Tanti comuni non superiori al nostro sono riusciti e riescono molto bene in questo intento e dalla popolarità e visibilità delle loro iniziative hanno costruito le loro fortune. Anche Cava può farlo, ma progetti di questo tipo vanno costruiti e accompagnati in ogni loro passo con tenacia, professionalità, determinazione, capacità organizzativa e di comunicazione. Anche attraverso simili progetti potrà costruirsi una reale prospettiva turistica per la città.
Ultimissima: da qui bisogna immaginare in quale direzione andrà Cava de’ Tirreni non nel 2025, ma nel 2040 o nel 2050; quale vocazione dovrà essere promossa o consolidata, coltivata, alimentata. Guadare al futuro, non a quello prossimo, ma di medio/lungo termine e su questo porre da subito solide basi. Quale può essere la vocazione? A mio parere ce n’è o ce ne sarebbe una sola e varrebbe per tutta l’umanità: è quella ambientalista. Cava può proporsi come città ambientalista, mirando all’ambizioso obiettivo dell’impatto zero. Può farlo per le sue caratteristiche geo-morfologiche, per il patrimonio ambientale, per lo stile di vita e per i ritmi della città. Anche qui servono determinazione, professionalità, profondità di vedute e uno staff di lavoro competente e ben orientato verso tutte le fonti scientifiche, di finanziamento e di progettualità.
“We can” direbbe Barak Obama e, forse, lo potremmo davvero.
Auguri di buon lavoro.
Enrico Passaro