A giorni lascerà l’incarico, presentando le sue annunciate dimissioni in ragione della stanchezza dovuta all’età. Forse dovrei chiamarlo “Re Giorgio”, ma per il rispetto dovuto al Presidente della Repubblica, considerato che in talune circostanze l’appellativo di “Re” è stato usato a sproposito, spesso in senso ironica o dispregiativo, per affetto preferisco chiamarlo Giorgio o, al massimo, papà Giorgio: meglio ancora, per il dovuto rispetto, Presidente
Il Presidente della Repubblica, anche chiamato Capo dello Stato, deve essere considerato come il papà di una famiglia, colui che le dà prestigio, la rappresenta all’esterno, ne indirizza le scelte, dirime i contrasti fra i familiari, premia quelli meritevoli e punisce i “discoli” che lo meritano.
Per il Capo dello Stato è leggermente diverso, c’è “qualche” incombenza e responsabilità in più, specialmente nel nostro Paese nel quale il Presidente non è una figura meramente rappresentativa e, quindi, di secondo piano, come negli altri Stati europei.
Già l’appellativo di “Capo” sta a indicare che il nostro Presidente è il “Capo”, colui che guida il Paese, che bilancia i poteri e le attività dei vari organi dello Stato, principalmente per il rispetto delle norme fissate nella Costituzione, che gli impongono precise prerogative, ma anche per attutire eventuali spinte negative da chiunque originate.
In Italia, il Capo dello Stato ha poteri propri ben precisi, che non si limitano a un teorico cerimoniale. Ovviamente, fermi i poteri e le prerogative anzidette, lo stile che viene dato alla Presidenza della Repubblica è dettato dalla persona che ne riveste la carica oltre che dallo specifico momento socio–politico–economico che si attraversa.
Per tutto questo gli è dovuto rispetto, come a un Papà e oltre. Fanno male frasi come quella di un certo Signore, comico e imbonitore di folle, che commentò che Napolitano non doveva dare le dimissioni, doveva costituirsi (!!!): a un Papà non si dice una tale cattiveria, a un Presidente meno che mai.
Il nostro Presidente deve essere una persona specchiata, limpida, inattaccabile sotto il profilo comportamentale, sociale, giuridico. Un grandissimo esempio di ciò venne dato dal compianto Sandro Pertini che, di provenienza di sinistra ed ex partigiano, tenne la Presidenza con grande equilibrio.
Giorgio Napolitano non è stato da meno, e questa caratteristica gli è stata universalmente riconosciuta (tranne che dai soliti Grillo e Salvini, e da qualche intemperante ex “Premier” e suoi “servitori”).
Mi piace ricordare, a tal proposito, uno dei passi dell’intervista di Eugenio Scalfari a Ballarò, quando disse che la Presidenza della Repubblica è come una molla, che si deve tendere e restringere a seconda delle circostanze, senza mai farla spezzare: Napolitano ha utilizzato la molla con grande perizia, superando in nove anni di presidenza le difficoltà che tutti gli uomini di buon senso conoscono, resistendo con grande dignità anche ad attacchi feroci da cui è stato bersagliato.
Oggi, dopo nove anni di mandato, dei quali gli ultimi due accettati per spirito di servizio come egli più volte ha ricordato, e che tutti noi dovremmo bene avere in mente ricordando la circostanze della sua rielezione nell’aprile 2013, alla quale egli non poté sottrarsi per superare l’ impasse parlamentare che non riuscì ad eleggere un nuovo Presidente, l’età, la fatica dei travagliati ultimi nove anni, gli impongono di lasciare.
Avrei preferito che rimanesse, ma chi gliene può fare una colpa?
Speriamo solo che la classe politica che fallì nell’aprile 2013, quella stessa che, allora, “a piedi scalzi e col capo coperto di cenere” si recò da “nonno” Giorgio per pregarlo di accettare un nuovo mandato, ricordi quella circostanza, abbia frattanto maturato e si comporti, per la prossima elezione del successore, degnamente eleggendo un nuovo Presidente della Repubblica che non faccia rimpiangere Napolitano.
A me, a noi, non resta che ringraziare Giorgio Napolitano e augurargli “Buon anno Presidente”.