Autunno nero
Il rientro dalle vacanze estive, già di per se triste per il ritorno alla routine ed alle (pre)occupazioni quotidiane, si presenta, quest’anno, particolarmente sconsolante per i problemi politici, economici e sociali sul tappeto, sui quali tutti noi veniamo sommersi da notizie, spesso contraddittorie, quasi sempre negative, ma che chi è in vacanza le vive in maniera più distaccata: salvo, al rientro, a ripiombare nel girone infernale della quotidianità e, di conseguenza, ad essere sommerso dai messaggi che continuamente riceve.
Non è facile, anche per chi segue le giornaliere evoluzioni della politica, elencare quello che c’è sul tavolo, né dare priorità.
Le ultime settimane sono state dedicate quasi interamente al problema dei migranti: il Ministro Salvini non ci ha fatto mancare, bontà sua, tutte le vicende, ultime quelle della nave militare Diciotti, ma anche agli eventi precedenti; e poi la magistratura ci ha messo il suo, indagandolo sia per la vicenda specifica della nave con il suo carico di migranti bloccati a Catania, sia per istigazione all’odio raziale ai sensi della Legge Mancini.
Vogliamo tentare, con il timore di sbagliare, di elencare ciò che bolle in pentola e che entro un paio di mesi dovrebbe venire a maturazione.
Ci troveremo a dover affrontare gravi problemi economici, ma non tanto quelli personali, numerosi e già di per se preoccupanti, bensì quelli del paese che, alla fine, si rifletteranno sulle nostre tasche; parliamo del debito pubblico e dello “spread” tra i nostri titoli di stato e quello tedeschi, che, pure se con fasi altalenanti, quotidianamente si eleva, ed ha quasi raggiunto i 300 punti: in termini elementari sta a significare che il nostro paese, che naviga su un debito pubblico che si aggira oltre i 2300.miliardi di euro, paga sullo stesso circa tre punti in più: in termini spiccioli sta a significare che il nostro debito pubblico, grazie all’aumento dello spread, ci costa circa 70.miliardi di euro in più ogni anno; 70.miliardi che corrispondono a circa due manovre pesanti, e che avremmo potuto risparmiare se i nostri governanti non avessero fatto il diavolo a quattro per “sputtanarci” (ci scusiamo per il termine forte) facendoci perdere la stima dei mercati internazionali e dell’ Europa.
Un vecchio insegnante di economia diceva che i mercati sono come il sesso, non vogliono pensieri; i pensieri sono causa di cilecca sotto le lenzuola e sui mercati monetari e finanziari: e a fare cilecche negli ultimi mesi stiamo andando a gonfie vele.
Qualcun altro insegnava che mai bisogna sfidare i mercati, in quanto gli investitori hanno scatti di gazzella e memoria lunga: tradotto sta a significare che gli investitori, ai primi segnali di incertezza, sono velocissimi a vendere o ad uscire da un mercato, ma quanto a rientrarci ci pensano moltissimo grazie alla memoria lunga; e giacché noi viviamo sul debito e, quindi, siamo succubi degli investitori, se questi scappano difficilmente tornano sui loro passi; e poiché quel debito non siamo in grado di restituirlo, siamo costretti a trovare altri investitori che, quando sono disponibili, pretendono interessi maggiori: tutto qui, e tutto ciò è anche causa dei rating di solvenza/insolvenza che le grandi agenzie internazionali assegnano ai paesi, e il nostro si è improvvisamente ridotto alla tripla B, quasi a livello di insolvenza.
Elementare: i chiediamo come sia possibile che tutti lo capiscano tranne i nostri nuovi governanti i quali, pure se ignoranti (nel senso che ignorano tante cose) non debbono e non possono ignorare che i mercati ci tengono gli occhi addosso, anzi siamo sotto i loro microscopi, e i mercati non vanno sfidati, mai, specialmente da chi ha un debito pubblico come il nostro: e la minaccia di non dover essere succube dello “spread” è una sciocchezza che colpisce ed inorgoglisce solo quelli che la politica monetaria, pure spicciola, non sanno cosa sia.
E veniamo agli altri problemi sul tavolo, che, alla fine, confluiscono in tutto ciò che abbiamo finora detto, vale a dire sul debito pubblico che, secondo il governo giallo-verde, dovrà forzatamente crescere per finanziare le riforme previste dal contratto, vale a dire reddito e pensione di cittadinanza, abolizione della Legge Fornero, Flat-Tax, detassazioni varie, nuovo condono fiscale per gli evasori (la pace fiscale), riduzione del cuneo contributivo sul lavoro, rilancio del Servizio sanitario nazionale, sostegno alle Forze dell’ordine e alla Protezione civile, piano di finanziamento di trasporti, infrastrutture e comunicazioni e tutte le altre belle promesse che in campagna elettorale sono state fatte; tutto ciò comporterebbe una maggiore spesa annuale di circa 100.miliardi di euro che il governo vorrebbe finanziare con l’aumento proprio di quel debito pubblico già insostenibile e attentamente monitorato dall’UE e dai mercati; senza parlare delle spese impreviste derivanti dalle calamità naturali che sempre più spesso ci affliggono specialmente per la cronica incuria nella tutela del nostro territorio.
A causa del peggiorare dei “rating” sulla nostra economia e sul nostro debito, con sulla testa la spada di Damocle del prossimo esaurirsi, nel mese di dicembre, del “Quantitative Easing” col quale il Governatore della B.C.E. Mario Draghi ha immesso sul mercato miliardi di euro dei quali hanno beneficiato tutti i paesi dell’ UE, ma particolarmente quelli con maggior debito e incerta economia, come il nostro, non sembra campata in aria la possibilità che il Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sia andato a Pechino dove, col pretesto ufficiale di stipulare nuovi accordi commerciali, quasi certamente, sottobanco, sembra aver fatto qualche approccio affinché la Cina non si tiri indietro nel caso in cui avessimo necessità di ricorrere a nuovi creditori e la Cina potrebbe essere uno di questi.
Dopo tutto questo, e con un prossimo futuro che è più nero di un buco nero, come possono gli italiani tornati dalle sudate vacanze essere tranquilli e godersi serenamente il dopo-vacanze?
Cosa c’è dietro l’angolo e cosa ci riserva il futuro? Non è dato di saperlo e la sensazione degli osservatori è che questa specie di governo che ci ritroviamo, che parla molto ma finora ha concluso quasi niente, sia completamente in pallone, tant’è che qualche settimana addietro, in una vignetta girata in rete, i tre responsabili, il “premier” Salvini, il facente funzione di vice-premier Di Maio e il teorico “Premier” Conte, seduti intorno ad un tavolo, si auguravano un nuovo caso Diciotti per distogliere nuovamente l’attenzione da tutti questi problemi che li e ci affliggono.
A questo punto, visto che è difficile pervenire ad una conclusione, che probabilmente nemmeno i nostri amati governanti riescono a intravedere, ci assale un dubbio, e cioè che tutto ciò sia voluto per dare ai mercati e all’UE la convinzione che il nostro paese, già ora di dubbia affidabilità, in futuro sarà sempre più in difficoltà e sarà sempre più difficile tenerlo a freno e, quindi, tutto sommato, una gamba tanto instabile che via via si sta incancrenendo, è meglio tagliarla piuttosto che tentare di curarla: quindi meglio perderlo.
In tal caso rientrerebbe dalla finestra quel subdolo piano che Paolo Savona aveva architettato per uscire dalla moneta unica e dall’Unione europea e tornare alla gestione autonoma dei nostri problemi e del nostro debito, ridiventare “sovranisti”, come ora va tanto di modo dire, termine che, secondo l’enciclopedia della Treccani, sta a significare una “posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione”.
Il “sovranismo” si oppone al trasferimento di poteri e competenze dallo Stato nazionale a un organo internazionale. I cittadini considerano infatti questo processo una minaccia all’identità nazionale o un attentato ai principi della democrazia e della sovranità popolare.
I cittadini italiani, secondo il nostro governo giallo-verde, in pratica, debbono ridiventare arbitri del loro destino. Nessuno ricorda che proprio essere stati arbitri del nostro destino ci ha ridotto nella condizione in cui eravamo allorquando abbiamo aderito alla CE e siamo entrati a far parre dell’euro.
Ora si vorrebbe tornare indietro: in tale malaugurata ipotesi quale sarebbe il risultato?
Ai posteri la veramente ardua sentenza.