scritto da Eugenio Ciancimino - 06 Luglio 2023 15:26

Autonomie ed ipocrisie politiche differenziate

Le dimissioni di quattro autorevoli esperti in diritto dal Comitato tecnico per la definizione dei LEP (Livelli Essenziali di Prestazioni), propedeutica per l’attuazione delle  autonomie differenziate, mette in discussione l’impianto del ddl del Ministro Roberto Calderoli.

Esse riaprono il capitolo delle ipocrisie politiche recitate per circa vent’anni a partire dalla riforma del titolo V della Costituzione, ispirata dalla Lega e condivisa dai DS che la ritenevano meritevole iniziativa di una “costola della sinistra”.

Inevasa dal 2001, il primo approccio di attuazione è stato posto in essere alla fine della XVII Legislatura (Febbraio 2018) a seguito di richieste di convenzioni bilaterali rivolte al Governo, presieduto da Paolo Gentiloni, dai Governatori leghisti di Lombardia, Attilio Fontana, e Veneto, Luca Zaia, e del dem Stefano Bonaccini di Emilia Romagna.

Ne hanno manifestato interesse anche i Governatori dem di Puglia e Campania. Come una sorta di mina vagante in termini di competizione politica tra  Nord e Sud del Paese e con scarsa visione per le ricadute nell’ordinamento e per le finanze dello Stato, l’argomento è stato oggetto, per propaganda o per compiacenza, del contratto di Governo sottoscritto da Lega e M5S, e di ddl a firma dei Ministri Francesco Boccia, Maria Stella Gelmini ed infine di Roberto Calderoli autore del testo finalmente approdato in Parlamento. Sua l’iniziativa di sottoporlo al parere di un consesso di esperti di alto profilo dottrinario al di sopra delle parti.

Per i dimissionari Giuliano Amato, Franco Gallo, Alessandro Pajno e Franco Bassanini “non ci sono più le condizioni” per una loro “partecipazione ai lavori” e continueranno “a sperare che nel corso dei prossimi mesi maturi un ripensamento che porti il percorso di attuazione dell’autonomia nei binari definiti dalla Costituzione”.

È una forma diplomatica per dire “grazie dell’invito, ma non siamo più disponibili”? Il perché delle condizioni che non ci sono più non è esplicitato e dato l’alto lignaggio dei personaggi sono da escludere motivazioni di ordine politico; ma si prestano come autorevole arma di contestazione dell’intero pacchetto di riforme istituzionali contenuto nel programma di Governo del centrodestra. Ed, al di là dei punti di vista delle opposizioni, può aprire una faglia nella stessa maggioranza in vista dell’appuntamento elettorale per le consultazioni europee, trattandosi di un progetto bandiera della Lega che non collima con lo storico pensiero di Fratelli d’Italia sui rapporti di poteri e competenze tra Stato e Regioni.

Il clima di una campagna elettorale che si preannuncia aspra per ogni singolo partito per via del sistema di voto proporzionale non agevola un sereno confronto per una riforma carica di aspettative per chi la propone come bandiera e ritenuta preoccupante da chi riscuote  messi di consensi nelle aree geografiche che subirebbero più svantaggi che favori.

È il Mezzogiorno a pagarne diseguaglianze in termini di fruizioni di servizi, tutela di diritti primari e di equità fiscale, secondo stime e studi di istituti di ricerca politicamente indipendenti, a partire dalla Banca d’Italia. Sul ddl pende anche il richiamo sulle relative conseguenze finanziarie contenuto nella “nota di lettura” redatta dal servizio di bilancio del Senato.

Si tratta di annotazione tecnica che si fa per qualsiasi iniziativa legislativa al fine di rendere più consapevoli le decisioni di ciascun parlamentare. La nota non è di orientamento politico, ma necessaria soprattutto come premessa al dibattito su una riforma che rientra nei “nei binari definiti dalla Costituzione” richiamati dai citati quattro saggi, i quali con le loro dimissioni lasciano comunque intendere un ripensamento lontano dai clamori elettorali.

Tutte le forze politiche che nel trascorso ventennio si sono avvicendate nel Governo del Paese hanno civettato con la Lega sulle autonomie, ma poche voci, prevalentemente esterne ai circuiti partitocratici, hanno sollevato l’incongruenza delle materie differenziate rispetto a tutele e garanzie costituzionali non differenziabili. Si tratta del peccato originale di una riforma malfatta dietro la quale si annidano ipocrisie di bottega elettorale ogni qual volta che si mette mano per la sua attuazione.

Come dire un monumento di insipienza a futura memoria.

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