scritto da Eugenio Ciancimino - 16 Novembre 2024 11:09

Autonomia,  pronuncia “cerchiobottista”

La Consulta ha stoppato sia gli ardori leghisti che i tamburi delle opposizioni di sinistra associate semplicemente per picconare la destra insediata a Palazzo Chigi. Eppure, l‘idea di differenziare in Costituzione il regionalismo è stata opera dei loro antenati nel 2001

Il palazzo della Consulta a Roma

La Consulta ha dichiarato non fondata la questione di incostituzionalità della legge sull’autonomia differenziata, ma ne ha bocciato sette punti, snaturando i profili di devoluzione in essa contenuti, ed ha disinnescato, in sostanza, la mina del referendum abrogativo, rinviando al Parlamento la copertura dei vuoti.

Come dire che non si poteva abrogare l’insieme di una legge che ha per obiettivo l’attuazione del titolo V della Costituzione e che contiene significativi elementi illegittimi,  che vanno dalla definizione dei LEP (acronimo di livelli essenziali delle prestazioni) alle aliquote di partecipazione al gettito fiscale dei tributi erariali per finanziare le funzioni trasferite alle singole Regioni.

Su queste linee guida si dovranno configurare ed argomentare i rapporti tra Stato e Regioni ordinarie basati sul principio di sussidiarietà nella devoluzione di funzioni legislative ed amministrative. Sul piano politico esultano, parzialmente, le quattro Regioni ricorrenti governate da compagini di centrosinistra: Campania, Puglia e Toscana, un po’ meno la Sardegna perché il previsto sistema di autonomia differenziata non si applica alle Regioni dotate di Statuto speciale. Se ne possono ritenere soddisfatti anche rappresentanti di FI e tacitamente di FdI, e soprattutto i Governatori meridionali di centrodestra che avevano manifestato perplessità o addirittura contrarietà nei confronti dell’impostazione della cosiddetta legge Calderoli.

Sulla sponda opposta ed in maniera trasversale non ridono da un lato i Governatori delle Regioni di Lombardia e Veneto, a trazione leghista, e dall’altro i promotori del referendum, i cui squilli di tromba  nella raccolta delle firme lasciavano presagire una mobilitazione per sgambettare la premier Giorgia Meloni.

La Consulta ha stoppato sia gli ardori leghisti che i tamburi delle opposizioni di sinistra associate semplicemente per picconare la destra insediata a Palazzo Chigi. Eppure, l‘idea di differenziare in Costituzione il regionalismo è stata opera dei loro antenati nel 2001. Si comprendono a fini di consenso elettorale variabilità di linguaggio, a seconda che si stia dentro o fuori dai Palazzi del potere, un po’ meno quando in pensieri e moda prende il sopravvento della sindrome delle post verità.

L’opera chirurgica della Consulta riporta il discorso pubblico sull’ordinamento delle relazioni Stato/Regioni, bene comune, nel Parlamento, correggendo superficialità e tacitando, in sostanza, le ragioni di slogan apocalittici per l’unità del Paese e soffocando inappropriati peana e/o conati federalisti.

Insomma, pur entrando nel merito di una materia che fa bene alla Nazione se tutti si mettessero “alla stanca”  con ragionevolezza, nella corrente dialettica fra politici litiganti l’arbitrato della Consulta può apparire un colpo, absit iniuria verbis, “cerchiobottista”: con doveroso rispetto per i supremi giudici delle leggi.

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