Autonomia differenziata, inutilità del referendum
Non si può sottacere l’inutilità dell'iniziativa referendaria, perché non abroga il dettato costituzionale sull’autonomia differenziata: mira a personalizzare il voto sulla conduzione del Governo di Giorgia Meloni. Come dire “facimme ammuina”, a prescindere
Nelle narrazioni che tengono vivo il dibattito politico sull’autonomia differenziata normata nella legge Carlderoli (n. 86/2024) poco o nulla viene dedicato al travagliato percorso di attuazione ed alle omissioni che prefigurano l’ombra della sospensione di un dettato costituzionale.
Lo evidenziava su “il Riformista” di mercoledì 16 ottobre Bartolo Conratter per il quale sarebbe preferibile ad un generico Referendum mettersi “alla stanga” per pervenire ad intese coerenti con i contenuti della riforma del 2001 del titolo V della Costituzione. Perché, come egli precisa, la citata legge 86/2024 “non arricchisce né depaupera nessuno”, ma “si limita a definire la procedura” per l’attribuzione delle competenze elencate nell’articolo 117 della Costituzione.
E per di più la richiesta di acquisizioni autonomistiche è facoltativa da parte di ciascuna Regione ordinaria. Perciò, non si capiscono i clamori odierni su una legge di procedura, contro la quale si gridano slogan del tipo “spacca Italia” e “secessione dei ricchi” non usati, né agitati sui media e portati in piazza nel 2018 quando le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna contrattavano deleghe e trasferimento di competenze con il Governo di centrosinistra presieduto da Paolo Gentiloni.
Viceversa, si comprendono gli odierni dubbi di Presidenti di Regione promotori di quesiti posti alla Consulta e, soprattutto, le rassicurazioni avanzate dal Governatore della Campania, per via legislativa secondo l’iter dell’articolo 121 della Costituzione, concernenti la modifica della citata legge 86/2024.
Esse riguardano: a) trattamenti, in uguale misura, per un riparto pro capite del fondo sanitario e per una dotazione del relativo personale per ogni mille abitanti; b) divieto di contratti integrativi regionali per operatori della sanità e per gli insegnanti; c) attribuzione delle nuove funzioni dopo uguale finanziamento, non basato sul costo della vita, dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e non solo dopo la loro determinazione come previsto nella legge Calderoli (Art. 4).
Sono, secondo Vincenzo De Luca, le condizioni per superare il Referendum e per “collocare la discussione sull’Autonomia su un piano di ragionevolezza e di dialogo”.
Sul punto trova sponde negli atteggiamenti critici rispetto al Referendum, manifestati o in incubazione, di Governatori ed esponenti del ceto politico di centrodestra e dello stesso centrosinistra e disarma il vigore ideologico di coloro che ne sono i promotori e dei porta bandiera leghisti: una zeppa sul cammino di Elly Schlein e sulla compattezza, da Nord a Sud del Paese, della compagine di centrodestra? Al di là della vis polemica, è un fatto la carica politicante di un dibattito/scontro che poco discute sul contenuto, ma mira a destabilizzare o rinnovare fiducia al Governo Meloni. Perché, qualunque sia l’esito del Referendum, qualora gli venisse conferita l’ammissibilità, non cancella o lascia appeso a futura memoria il dettato costituzionale, per carenza di risorse finanziarie, donde si staglia l’ombra di un fantasma legislativo, concepito ed incompiuto.
Per decenni sono rimasti sulla carta i passaggi fondamentali per perequare l’erogazione dei diritti essenziali di cittadinanza su tutto il territorio nazionale.
Ne ha tracciato le linee guida la legge n. 42/2009 delega in materia di federalismo fiscale (anch’essa ispirata dal Ministro Roberto Calderoli), la cui attuazione è stata rinviata più volte: aveva l’obiettivo di superare il sistema di finanza di Regioni e Comuni basato sulla spesa storica e di determinare diverse fonti di finanziamento dei LEP che riguardano la sanità, l’assistenza, l’istruzione ed il trasporto pubblico locale.
Carente di normativa statale, al momento sono operativi solo i LEP di competenza delle Regioni in ambito sanitario per i livelli essenziali di assistenza (LEA) e per alcune prestazioni sociali.
L’autonomia differenziata, concepita nel titolo V della Costituzione, riscrivendo potestà legislativa ed organizzazione amministrativa non poteva e non può non comportare decisioni politiche che sono state sospese o disattese nell’arco di 23 anni dalla riforma e di 15 anni dall’introduzione del federalismo fiscale che ne avviava gli strumenti di attuazione. Da allora si sono succeduti a Palazzo Chigi otto Governi sostenuti prevalentemente da forze e da ambienti mediatici oggi aggregati per la raccolta di firme pro Referendum abrogativo.
A discolpa della loro neghittosità rispetto al dettato costituzionale concorrono la crisi finanziaria dei primi anni del duemila, l’epidemia da Covid, la gestione di ben due Governi tecnici e la fragilità delle compagini parlamentari degli Esecutivi a conduzione politica.
Allo stesso modo non si può sottacere l’inutilità della loro iniziativa referendaria, perché non abroga il dettato costituzionale sull’autonomia differenziata: mira a personalizzare il voto sulla conduzione del Governo di Giorgia Meloni. Come dire “facimme ammuina”, a prescindere.
Nella cosiddetta “II Repubblica” post tangentopoli, “l’ammuina” regna, sia a dx che alla cosidetta “sinistra”. Povera Patria