Attenti all’uso delle parole.
Se sono pietre o scritte sulla sabbia, la loro valenza nel dibattito pubblico dipende dalla bocca di chi le pronunzia e dal mezzo di comunicazione che le diffonde.
Con internet che consente accessi a tutti non ci sono gerarchie di competenze, prevalendo il principio che “l’uno vale l’altro”. Per cui, la partecipazione di opinioni alla pari potrebbe voler dire più democrazia, ma anche una qualità di contributi alla discussione meno consapevoli per scienza e conoscenza.
In questo paradigma andrebbero inquadrate le reazioni dei social ai dubbi esternati dal filosofo Massimo Cacciari nei confronti del Green-pass o le osservazioni dell’ex Premier Mario Monti sulla necessità di una “comunicazione centralizzata e meno democratica”, accolte come retro pensiero autoritario o para fascista.
Dalle stesse tastiere provengono le contestazioni nei confronti di Enrico Mentana per avere detto di essere orgoglioso di non avere ospitato no-vax nelle sue trasmissioni.
E qui si incrociano il libero arbitrio del giornalista e la sua funzione di rendere un’informazione con il più ampio spettro delle voci che alimentano la cronaca dei fatti che accadono nella realtà quotidiana.
Si tratta di una scelta di campo di tipo censorio o pedagogico? Non è facile sciogliere l’interrogativo a fronte dei dati rilevati dal CENSIS sull’incredulità diffusa che si abbevera al passaparola dei social.
Saltate le mediazioni, “ci fidiamo – osserva lo psicologo Paolo Crepet – solo di noi stessi, andando a cercare su internet, il regno del tutto e del suo contrario, pezze pseudoscientifiche che confermino e rinforzino le nostre paure”.
É in crisi la democrazia – s’interroga lo psicologo – ovvero è la caduta di credibilità di una élite politica dominante che “crede di avere mutato e risanato il mondo”, secondo il sociologo Luca Ricolfi.
“Libera parola in libero Stato” è il tema della sua ultima pubblicazione con Paola Mastracola in cui affronta l’ideologia del politicamente corretto costruita “su parole che non sono nate dal nostro libero pensiero, ma sono fabbricate artificialmente con motivazioni ipocrite”.
E qui si profilano le attitudini censorie di chi vuole riscrivere la storia e la grammatica della nostra lingua, introducendo neologismi artefatti ed asterischi per le desinenze di genere.
Introdotti per non discriminare, finiscono con imporre la matita blu per cassare libertà di parola e di pensiero. Al di là delle sensibilità delle citate personalità del mondo intellettuale, resta aperto il dibattito epocale di prospettiva culturale e sociale di un sistema politico, di cui la pandemia ha disvelato la inadeguatezza.
Non se ne vedono traiettorie percorribili e condivisibili nei campi delle forze politiche in competizione, attestate sui tatticismi per la conquista del Quirinale.
Appuntamento certamente di rilevanza costituzionale, forse di svolta per il ricambio degli inquilini dei Palazzi alti, ma non è la priorità per calmierare le inquietudini che agitano il Paese reale.