Napoli, l’emozionante percorso della “Via delle Memorie” della Galleria Borbonica
“La Via delle Memorie” della Galleria Borbonica di Napoli è un vero e proprio viaggio emozionale e sensoriale, tra luci, acqua, profumi, suoni e accattivanti racconti in grado di incuriosire ed emozionare.
Un percorso suggestivo che si dipana da Palazzo Serra di Cassano giungendo sino alla Galleria Morelli, permettendo così di passare dalle emozioni della rivoluzione illuminista partenopea sino a quello che è il segno profondo lasciato dalla seconda guerra mondiale.
Lo scavo della galleria nacque con un decreto con cui, nel 1853, re Ferdinando II di Borbone incaricò l’architetto Errico Alvino di progettare un viadotto sotterraneo che rappresentasse un rapido percorso militare in difesa della Reggia, per le truppe acquartierate nella caserma di via Pace (attuale via Domenico Morelli), nonché una sicura via di fuga per gli stessi monarchi, visti i rischi che avevano corso durante i moti del 1848.
L’opera, ambiziosa ed imponente, fu realizzata totalmente a mano con picconi, martelli e cunei, e con l’ausilio di illuminazione fornita da torce e candele.
Il punto di partenza della visita, condotta insieme alle impeccabili e appassionate guide dell’Associazione Culturale Borbonica Sotterranea (per info www.galleriaborbonica.com) è il Palazzo Serra di Cassano a Monte Di Dio, quartiere anche noto come la collina di Pizzofalcone, acquistato dalla famiglia di commercianti genovesi Serra nel XVII Secolo e ampliato nel secolo successivo.
È tristemente nota la vicenda di uno degli eredi, Gennaro Serra, che nel 1799 partecipò alla Rivoluzione Napoletana e fu decapitato, a seguito dell’avvento della controriforma “sanfedista”, nel cuore di piazza del Mercato, evento che fece prendere al padre Luigi la decisione di tenere sempre chiuso, in segno di lutto e protesta, il portone principale della dimora che guarda sul Palazzo Reale su via S. Maria Egiziaca a Pizzofalcone (due sole le eccezioni: un gran ballo “olimpico” nel 1960 a cui parteciparono Achille Lauro, gli Agnelli, Maria Callas, Onassis e i reali di Grecia, e il 200° anniversario della morte del giovane nel 1999).
A fare da guida, come dicevamo, con un racconto denso di suggestioni e elementi storico narrativi, sono le appassionate componenti dell’Associazione Culturale Borbonica Sotterranea.
Sono Stefania e Vincenza, infatti, a far vivere la prima emozione, all’inizio del percorso tra i reperti lasciati da ignoti occupanti la galleria durante la seconda guerra mondiale, quando questi cunicoli divennero rifugio anti-aereo.
I visitatori sono invitati a chiudere gli occhi e a descrivere le emozioni provate quando nel piccolo ambiente si diffonde il suono della sirena che segnava l’inizio del bombardamento.
E’ un momento da brividi, con la sirena che fa accapponare la pelle.
Il percorso inizia all’interno dello splendido palazzo Serra di Cassano, il cui ricovero bellico fu utilizzato per diverso tempo anche dall’ex Presidente delle Repubblica Giorgio Napolitano, in quel tempo adolescente, che abitava poco distante, con il grande cortile ottagonale e la monumentale scala dell’architetto Ferdinando Sanfelice.
Un passaggio tra la città di sopra e quella di sotto, dove l’acqua scorre tra le solide e fredde pareti di tufo giallo, in cui le luci sembrano voler giocare a nascondino con le ombre, dove si possono vivere emozioni ed esperienze sensoriali uniche.
L’itinerario, incentrato sui ricoveri utilizzati durante la Seconda Guerra Mondiale (ricavati dalle antiche cisterne sotto Monde di Dio) e su un piccolo museo realizzato coi reperti bellici ritrovati durante gli scavi, include un nuovo segmento.
L’area comprende uno spazio venuto alla luce durante gli scavi al sito, condotti dal geologo Gianluca Minin in corrispondenza del Palazzo Serra di Cassano.
L’equipe della Galleria Borbonica ha ritrovato un’area con alcuni segni molto chiari della presenza delle milizie fasciste. L’ambiente riporta per tre volte la parola “Riservato”, incisa sul muro.
Ci sono inoltre ancora i cardini di quella che un tempo doveva essere una grande porta blindata. Ancora, dei fili di un impianto telefonico e dei numeri vicino al muro con delle iniziali (M.c.a. e Unpa, acronimi per “Milizia contraerea” e “Unità nazionale protezione antiaerea”).
Come dalle rovine di una città antica sono emersi persino pezzi di un gigantesco monumento scolpito in memoria di Aurelio Padovani, fondatore del fascio napoletano, che si vede alla fine del percorso, posto nel 1934 nella piazza Santa Maria degli Angeli in Pizzofalcone.
Lungo il percorso si possono ammirare le antiche cave utilizzate per l’estrazione del tufo all’epoca della costruzione e ampliamento del palazzo.
Gli ambienti recuperati si collegano direttamente con la Galleria Borbonica di cui abbiamo detto, “riscoperta”, per così dire, dal geologo Gianluca Minin nel 2005 e aperta al pubblico nel 2010 grazie al lavoro incessante dei volontari che ripulirono cinque chilometri di materiale accumulato.
Due anni più tardi, lo stesso Minin “bucando” il pavimento di una residente, scoprì il nesso tra la Galleria e il mondo sottostante a Palazzo Serra, restituendo a napoletani e visitatori un percorso di incredibile suggestione fruibile dal 2015.
Dal pozzo del cortile di Palazzo Serra si arriva oggi, così, alle cosiddette “cisterne”, una serie di ambienti che raggiungono la profondità di circa 50 metri dove tra l’altro negli anni della Seconda Guerra Mondiale trovarono rifugio migliaia di napoletani.
In quel periodo gallerie e vani furono anche dotati di servizi igienici e di un impianto elettrico installato dai tecnici dell’UNPA, l’Unione Nazionale Protezione Antiaerea, con risorse del Ministero dell’Interno.
Su gran parte delle pareti e delle volte, inoltre, fu stesa della calce bianca con il duplice intento di evitare la disgregazione del tufo e di migliorare la luminosità di spazi che erano diventati pienamente “abitativi” e super affollate di napoletani durante i bombardamenti aerei.
Queste case dentro le viscere furono abitate dalle famiglie sfollate fino al 1947, dopodiché parte degli spazi vennero abbandonati, mentre il cunicolo della Galleria Borbonica vera e propria fu riconvertito in deposito giudiziale, funzione che detenne fino agli anni Settanta. Finì qui tutto quanto – in particolare auto, moto e biciclette – veniva recuperato da crolli, sfratti e sequestri.
Alcuni degli oggetti recuperati sono stati messi in mostra in interessanti allestimenti, come quello sulla Seconda Guerra Mondiale.
Si può vedere il tufo, asportato con mani e scalpelli e tagliato a piccoli blocchi che venivano portati in superficie.
Alla base di tutto, un pluricentenario acquedotto, ovverosia una grande vasca-cisterna risalente alla metà del XVI Secolo da cui il prezioso liquido veniva prelevato con anfore in terracotta dette “mummarelle”.
L’intero sistema veniva manutenuto dai “pozzari”, addetti decisamente malpagati che tuttavia conoscevano a menadito il modo di raggiungere le uscite dentro i palazzi, in genere nelle cucine. Prende origine da qui la tradizione partenopea del “munaciello”, il piccolo monaco che dà o toglie.
I pozzari, infatti, erano in genere minuti e si aggiravano per il ventre di Napoli vestiti di mantello e cappuccio.
Oggi, a Napoli, ma in tutta la regione, quando si ritrovano oggetti oppure viene a mancare qualcosa in casa si dice che è stato O’ Munaciello.
I pozzari erano dei bravissimi manutentori, che, per evitare eccessivi assorbimenti d’acqua nel tufo, si prodigarono persino di ricoprirlo con malta idraulica.
Qui la visita si fa intima, commovente a tratti. Ogni cosa racconta la vita in questi luoghi che furono ricoveri, case, speranza di salvezza. Un luogo pieno di poesia dove la storia intreccia le storie della gente comune e la guerra appare in tutta la sua devastante crudezza e drammaticità.
Ascoltare il suono della sirena percorrendo questi luoghi è un colpo al cuore, non è difficile immaginare decine, centinaia di persone terrorizzate che si accalcavano sulle scale ricavate nel tufo, anziani, donne, bambini. L’allestimento all’interno della galleria ha riportato alla luce gli oggetti qui rinvenuti che raccontano quei momenti.
Il posto di Pronto Soccorso, i bagni in prossimità di ogni accesso, le cucine improvvisate, le caffettiere, le carrozzine giocattolo delle bambine che qui trovarono rifugio.
Tutto racconta la speranza, la voglia di vivere, il bisogno di normalità in una situazione che di normale non aveva niente.