“Un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni”.
Così il poeta Jacques Prévert descriveva Joan Mirò, artista catalano tra i maggiori esponenti del surrealismo. Tanto che André Breton, principale teorico del movimento, lo definì “il più surrealista di noi tutti”. E lo stesso Breton dichiarò che la personalità dell’artista catalano “s’è fermata allo stadio infantile”.
“Joan Mirò. Il linguaggio dei segni” è il titolo della mostra aperta sino al 23 febbraio 2020 al PAN di Napoli che consentirà di ammirare ben 80 opere originali del maestro Catalano, grande esponente del surrealismo.
Le opere straordinarie di Joan Miró in esposizione a via dei Mille fanno parte della collezione del Museo Serralves di Porto. Tutte opere originali tra quadri, disegni, sculture, collages e arazzi che provengono dalla importante collezione di lavori del grande maestro catalano e che sono di proprietà dello Stato portoghese.
L’artista spagnolo ha adoperato e plasmato ogni tipo di materiale come base per i suoi lavori. Tele, cartoni, pezzi di ferro, arrivando sino ad usare il fuoco: tutto ha dignità per diventare opera d’arte. La sua creatività infatti non si esprimeva solo attraverso la tecnica pittorica ma anche per mezzo di collage, sculture, monumenti, litografie, ceramiche, scenografie e arazzi.
Personalità eclettica: fu grafico, pittore, scultore. Il legame indissolubile dell’artista con la sua terra, la Catalogna, si riflette in ogni sua opera: la vita contadina, l’arte popolare, le luci e i colori del Mediterraneo affascinarono sempre Mirò. I soggiorni a Parigi e i frequenti contatti con l’artista Pablo Picasso ne influenzarono notevolmente l’arte, sino all’incontro con i surrealisti che diede una svolta definitiva alla carriera di artista.
Il celebre scrittore e poeta francese Raymond Queneau, nel suo saggio Joan Miró ou le poète préhistorique, coniò un nuovo termine per riferirsi alle opere pittoriche dell’artista catalano: miroglifico. Secondo Queneau, nella produzione di Mirò ricorrevano infatti segni ed elementi costanti, arrivando ad affermare che il Mirò fosse “una lingua che bisogna imparare a leggere e di cui è possibile fabbricare un dizionario”.
Similmente ai geroglifici, i miroglifici, come caratteri di una scrittura ideografica, potevano essere associati a oggetti o a idee, traducibili attraverso un alfabeto un dizionario di convenzione a cui fare riferimento.
Quello praticato da Miró era in effetti un linguaggio di segni, uno scambio reciproco tra immagine e parola, che possedeva una grammatica, una sintassi e un dizionario di figure.
Una collezione davvero significativa quella esposta al Pan che copre un periodo di sei decenni della carriera di Joan Miró, dal 1924 al 1981 e che si concentra in particolare sulla trasformazione dei linguaggi pittorici che l’artista catalano iniziò a sviluppare nella prima metà degli anni Venti.
Sarà infatti possibile ammirare anche la famosa opera del 1924, Ballerina, che apre il percorso dell’esposizione.
L’opera mostra il percorso che Miró ha intrapreso per arrivare al maturolinguaggio dei segni: una linea sostituisce il corpo della ballerina, un semicerchio in alto la testa.
In questo modo Miró avviò il processo di riduzione e semplificazione della figura.
Il linguaggio dei segni è un progetto promosso dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, con il supporto del Ministero della Cultura portoghese, il patrocinio dell’Ambasciata del Portogallo in Italia e organizzata dalla Fondazione Serralves di Porto con C.O.R. Creare Organizzare Realizzare.