scritto da Nino Maiorino - 09 Settembre 2019 08:50

Poverelli di San Francesco

 

Quello che è rimasto del Chiostro di San Francesco a Cava

Non mi riferisco ai poveri, miseri e diseredati ai quali il Poverello di Assisi, quel grande San Francesco che si privava anche del suo tozzo di pane o del suo striminzito mantello per aiutarli, quel povero Folle e Giullare di Dio che aveva rinunciato a tutti I beni che il suo ricco padre, il commerciante Pietro di Bernardone, gli avrebbe volentieri lasciato e al quale, con un gesto plateale e simbolico, aveva pubblicamente restituito l’ultimo suo vestito, denudandosi sulla pubblica piazza per sancire una definitiva rottura col passato e per celebrare il solenne matrimonio con Madonna Povertà.

Altri tempi, altro spirito della vita, altri Santi.

Mi riferisco, invece, ai “poveri” fraticelli del Convento e del Monastero di San Francesco e Sant’Antonio di Cava de’ Tirreni i quali, fedeli alla consegna dei loro Padri Superiori, vale a dire annullare tutto quello che aveva fatto Frate Luigi Petrone, in arte Padre Gigino, hanno gradualmente, dopo averlo cacciato in malo modo, smantellato tutte le opere che egli aveva fatto, grazie ai contributi e ai sacrifici dell’intera popolazione cavese e dei tanti fedeli campani che avevano creduto in lui e lo avevano seguito e aiutato in tutti i modi.

Non bisogna dimenticare che la Chiesa e il Convento di San Francesco di Cava vennero quasi completamente distrutti dal terribile terremoto del novembre 1980 e non sono mai stato chiari i motivi per i quali, nonostante il grande valore storico e artistico di quel monastico complesso, nonostante i milionari contributi elargiti per le opere della ricostruzione, esso era stato escluso dalle elargizioni, e per tale motivo i “poveri” fraticelli si erano trovati nella impossibilità di avviare un pur minimo lavoro.

Questa era la situazione che aveva trovato Frate Luigi Petrone allorquando i suoi superiori gli “comandarono” di assumere la responsabilità del diroccato complesso, cercando di avviarne la ricostruzione.

Probabilmente, come tanti, non avevano tenuto conto che Fra Gigino non era un monaco come gli altri i che, particolarmente legato, come cavese e come fedele servitore del fraticello di Assisi a questo convento, aveva preso alla lettera il mandato conferitogli e, forte della grande dote di iniziativa personale, che qualcuno malignamente ha definito “imprenditoriale”, avviò le operazioni basandosi esclusivamente sulle donazioni dei cittadini e dei fedeli di San Francesco.

Migliaia di fedeli contribuirono con i loro oboli nel mentre i cantieri si avviavano, e ci sono state persone che si sono autotassate mensilmente per far si che la ricostruzione proseguisse.

E in poco meno di vent’anni grazie, al saper fare di Frate Gigino, non solo venne ricostruita la Basilica, ma anche il Convento e intorno al rinato complesso sorsero numerose iniziative che richiamarono i fedeli cavesi e dell’intera Campania, ma anche da altre Regioni italiane: non dimentichiamo i pellegrini siciliani che giunsero a Cava al seguito della immagine e delle reliquie di Sant’Agata da Catania, reliquie che ancora dovrebbero essere conservate nella Basilica; il condizionale è d’obbligo in quanto, allo stato, del complesso lasciato da Padre Gigino non c’è certezza di niente, e dopo approfondirò il concetto.

La Basilica venne ricostruita più grande e più ricca di quella distrutta dal terremoto (pure se tanti non gradirono che la nuova costruzione non avesse rispecchiato lo stile precedente), venne realizzata una cripta ed una chiesa sottostante prima inesistente, venne poi ricostruito il Convento, e intorno al chiostro vennero realizzate innumerevoli opere finalizzate all’accoglienza dei pellegrini; non vanno dimenticate la sistemazione della collina alle spalle del Convento e del complesso di Santa Maria del Rifugio, sulla quale venne creato il percorso della Via Crucis esterna che porta al lato dell’Ospedale di Santa Maria dell’Olmo, percorso alla fine del quale era stato anche realizzato un ampio parcheggio che andava a beneficio di tutta la città.

Né vanno dimenticati gli ampi saloni per i ricevimenti, da tanti utilizzati per cerimonie nuziali o per battesimi e cresime, né la sistemazione dell’artistico presepe, perennemente aperto, né la sistemazione delle cucine le quali, oltre a dare ospitalità a centinaia di nullatenenti e poveretti che non avevano da mangiare, contribuiva anche a rendere le serate del Convento ricche di piatti che con pochi euro i fedeli potevano gustare, anche grazie alla copertura che Frate Gigino aveva realizzato nel chiostro diventato, così, accogliente e vivibile in tutti i periodi dell’anno, perché riparava dalle intemperie nei mesi freddi e dalla calura in quelli caldi.

E come dimenticare la sistemazione dei gabinetti pubblici, un vanto che nemmeno la Basilica di Pompei ha, e l’ampio bar pasticceria, che era un piacere frequentare alla fine delle cerimonie religiose o delle “scampagnate” pomeridiane e serali nel chiostro.

Perché ho voluto dilungarmi su tutto ciò?

Perché è sotto gli occhi di tutti cos’è diventato oggi il complesso di San Francesco e Sant’Antonio di Cava de’ Tirreni; poco più di una chiesetta di provincia che non compete nemmeno più con la vicina Basilica della Madonna dell’Olmo la quale, sebbene più piccola e disagevole, è divenuta un punto di raccoglimento per i fedeli che, oltre ad andare a Messa, desiderano anche un momento di aggregazione che la città non offre.

Tornando al complesso di San Francesco e Sant’Antonio, gli attuali “Fraticelli” hanno gradualmente smantellato tutto ciò che Padre Gigino aveva lasciato, con il bel risultato che anche le celebrazioni sacre, che prima erano seguite ma migliaia di fedeli, oggi sono quasi disertate, e vi sono domeniche e feste comandate nella quali a stento si riesce a riempire la metà della Chiesa laddove, all’epoca, entrare in Chiesa spesso era problematico per la folla che in essa si assiepava.

Una volta la Chiesa e il Chiostro erano aperte a tutte le ore, e c’era costantemente l’affluenza di persone che si recavano a San Francesco come punto di aggregazione importante; oggi è tutto ridimensionato.

Tutto smantellato, la copertura del chiostro, che sembra diventato un parcheggio per le auto di pochi fortunati, il salone del bar pasticceria, le sale per i ricevimenti, ridimensionate le cucine, il Presepe non sempre aperto, la Chiesa chiusa all’imbrunire, chiuso anche il parcheggio, e ovviamente, il percorso esterno della collina.

Si ha la sensazione della miseria, della povertà non intesa come voleva Poverello di Assisi, ma di quella dello spirito che anima gli attuali rettori del complesso e i loro superiori.

Fortunatamente è rimasto il grande Botafumeiro, il più grande d’Europa, c’è ancora la statua orante di San Giovanni Paolo II nella cripta; ma ancora per quanto?

Una chiosa finale. Spesse volte sono stato presso il Monastero francescano de “La Verna”, in provincia di Arezzo, per seguire corsi biblici e per godere l’area di francescanesimo che si respira sul Monte Penna, dove il complesso è ubicato, e dove, in una umida grotta, Francesco dormiva disteso sui sassi.

Sebbene fosse stato mio desiderio, non avevo mai avuto la possibilità di trascorrere il quel convento le festività di fine anno; quest’anno, libero da impegni familiari, avrei voluto farlo ed ho telefonato a fine luglio per prenotare.

Niente da fare, tutto pieno da molto tempo. Siamo in uno dei tempi del francescanesimo e tutte le strutture che prima servivano solo ai frati sono state trasformate per l’accoglienza dei pellegrini: ovviamente a pagamento.

Viene qualche dubbio agli attuali gestori del Monastero cavese e ai loro superiori sulla validità del loro impegno qui a Cava?

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

4 risposte a “Poverelli di San Francesco”

  1. 9 settembre 2019 – By Nino Maiorino – Per non appesantire l’articolo ho omesso tante altre considerazioni che avrei voluto scrivere, e l’ho fatto anche per evitare che la rabbia che ho dentro di me verso questi “fraticelli”, che tutto fanno tranne che il bene della chiesa, esplodesse in maniera violenta.
    Personalmente, avendo contribuito sostanziosamente alla ricostruzione e all’abbellimento del complesso monastico, e ora mi sento defraudato delle elargizioni fatte per costruire ciò che Padre Gigino aveva fatto.
    Nella copertura del chiostro c’erano anche i miei sacrifici, come quelli di tanti altri fedeli legati a San Francesco, la realizzazione del grande bar e pasticceria era stata fatta anche con i miei risparmi; non so quante volte ho rifornito la cucina della mensa con prodotti da me acquistati; in tutto ciò che aveva fatto Padre Gigino c’erano i sacrifici di migliaia di fedeli, cavesi e non; elargizioni che non erano state fatte per poi vedere smantellate le cose buone che Padre Gigino aveva costruito.
    E’ penoso ora recarsi nella chiesa e nel chiostro e vedere quattro frati ignorantelli (nel senso che ignorano), quasi sempre senza saio, che perdono tempo perché probabilmente non sanno cosa fare, e la loro mente è proiettata altrove (?), piuttosto che al benessere della comunità francescana e della Chiesa.

  2. “…quel grande San Francesco che si privava anche del suo tozzo di pane o del suo striminzito mantello per aiutarli, quel povero Folle e Giullare di Dio che aveva rinunciato a tutti I beni che il suo ricco padre, il commerciante Pietro di Bernardone, gli avrebbe volentieri lasciato e al quale, con un gesto plateale e simbolico, aveva pubblicamente restituito l’ultimo suo vestito, denudandosi sulla pubblica piazza per sancire una definitiva rottura col passato e per celebrare il solenne matrimonio con Madonna Povertà…”
    Introduzione degna di un verò erudita della vita di Francesco, ma molto ben lontanta da ciò che accadeva a San Francesco sotto la direzione di Luigi Petrone. La mercificazione degli spazi conventuali, nati per l’accoglienza dei pellegrini e per lo svolgimento della vita monastica, era giunta a livelli tali da fare concorrenza alla festa del santo patrono di cava ( se il nostro buon giornalista lo ricorda).
    Le strutture, gli interventi esterni che non comprendono la Ristrutturazione della chiesa stessa sono state smantellate, come giusto che sia, e non per decisione prese dai Padri Superiori o dall’attuale comunità Francescana che ha eridito il fardello di guidare un convento insidiato in una città ricca di bassezza, ignoranza, e disinformazione… No. Tutte le strutture sono state chiuse, smontate o sigillate perchè ABUSIVE, in parte o nella loro totalità.
    Quindi invece di attaccare deliberatamente persone che stanno svolgendo il loro lavoro, pensi a prendersela con chi ha utilizzato i soldi dei proventi delle varie sagre e donazioni da parte dei fedeli per realizzare strutture che non erano in REGOLA con le Norme tecniche e con i vari regolamenti di cui è soggetto un edificio storico, com’è il santuario, eretto in una città di cui il 90% è in zona “Paesaggistica”.
    INVITO, a tal punto, una verifica delle fonti e un accertamento dei fatti, prima di scrivere un articolo che si ritiene “giornalistico” e non un post di Facebook.

  3. Visto che comprava cose per il bar faccia così: acquisti derrate alimentari per la mensa dei poveri e le doni alla cucina, così magari potrà vedere di persona come le cose sono cambiate e come i frati sono attenti alle necessità delle persone. Quando vuole…

  4. Padre Luigi Petrone ha realizzato a Cava de’ Tirreni un’opera Incommensurabile; ha gettato le basi per un centro di aggregazione capace di intercettare il Prossimo. Grazie

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