Mi sono sempre chiesto come sia possibile che in diversi punti della città, particolarmente ai semafori e dinanzi a quasi tutti i supermercati, talvolta anche in prossimità di qualche bar, ci siano sempre le stesse persone, quasi tutte extra-comunitarie, la maggior parte di colore, a vendere le loro cianfrusaglie, “poveri cristi” che tentano di tirare a campare accontentandosi di ciò che i passanti acquistano o dei loro oboli; molti sono da anni sempre nello stesso punto, e sembra che con questo loro “lavoro” abbiano tirato su le famiglie, abbiano fatto studiare i figli, si siano fatta, diciamo così, una posizione.
Non saprei definirlo altro se non “lavoro”, specialmente quello di coloro che vendono cianfrusaglie, ma tutto sommato anche quelli che presidiano gli ingressi dei supermercati fanno un lavoro, consistente nel chiedere un obolo, aiutarti a scaricare il carrello, e via dicendo.
Qui a Cava ci sono postazioni fisse, ad esempio al semaforo della strettoia di Via De Filippis, oppure a quello tra la SS.18 e Via dei Fabbri (località Pregiato), oppure all’altro semaforo tra la SS.18 e Viale degli Aceri, solo per citarne alcuni. Non conosco la situazione nelle grandi città, ad esempio Salerno dove sembra che almeno al centro non vi siano tali stazionamenti, e non voglio addentrarmi nella situazione di una città come Napoli, dove di queste postazioni ce n’è a iosa, prevalentemente presidiate da pulivetri o venditori di fazzolettini; indubbiamente controllare una città come Napoli è molto difficile, certamente è più semplice farlo in piccoli centri, come ad esempio Cava.
Sono certo che ci sia, da parte di qualcuno, il controllo del territorio, ma non da parte di quei poveracci che passano la loro giornata a passeggiare tra le autovetture per vendere le loro mercanzie, ma piuttosto da parte di qualche organizzazione che li posiziona in quelle determinate postazioni, e non consente ad altri di occuparle: una o più organizzazioni che gestiscono questo mercato di poveracci, lucrandoci; purtroppo non ho elementi per dirlo con certezza e le Forze dell’Ordine non sono tanto ben disposte a parlarne.
Il sospetto che dietro tali presidi ci sia una regia è stato confermato, qualche mese addietro, da una inchiesta fatta a Bari, pubblicata anche su quotidiani a tiratura nazionale, che parla di mafia nigeriana, definita una cupola di ferocia inaudita, che controlla tutti i traffici loschi tra i quali quello di cui sto parlando.
Secondo tale indagine, confermata da Francesco Giannella, Procuratore aggiunto della DDA di Bari, la mafia nigeriana aveva messo radici proprio a Bari, ramificandosi poi in altre regioni italiane e anche in altri paese europei (Francia, Germania, Olanda, ecc.) per gestire principalmente il traffico della prostituzione, una delle piaghe più radicate anche nel nostro paese, fatta di atrocità, soprusi, ricatti e minacce nei confronti delle donne avviate a tale attività, e i cui proventi venivano poi utilizzati per il commercio della droga, fiumi di danaro sporco ottenuti calpestando la dignità umana; nel caso specifico due gruppi criminali sono stati sgominati dalla Polizia pugliese a seguito di un’operazione internazionale denominata “drill” (termine inteso come punizione), che ha portato all’arresto di oltre 30 nigeriani in varie regioni d’Italia, Puglia, Sicilia, Campania, Calabria, Marche, Basilicata, Lazio, Emilia-Romagna e Veneto, oltre che all’estero.
Lo slogan adottato dalle organizzazioni nigeriane era quello delle “3d”, donne, denaro e droga, e molte erano le malcapitate finite nelle grinfie delle due gang, denominate “Supreme vikings confraternity Arobaga” (Confraternita dei Vichinghi supremi Arobaga) e “Supreme Eyie Confraternity” (Confraternita suprema di Eiye), ognuna con i propri capi, colonnelli e soldati, che controllavano le varie attività criminali, dallo sfruttamento della prostituzione al traffico di droga, ritenute vere e proprie associazioni criminali di stampo mafioso.
Ma già in precedenza c’era stato chi, con molto coraggio e rischiando la vita, aveva denunciato queste cose; una fra le tante è suor Eugenia Bonetti missionaria della Consolata la quale, sconsolata, ha recentemente dichiarato che le Istituzioni da anni sembra che non ascoltino più, mentre precedentemente non solo ascoltavano ma chiedevano anche consigli.
“Le mafie italiane e quella nigeriana – spiega suor Eugenia – sono in affari insieme. Dove non arriva l’una, interviene l’altra, e viceversa”.
Le nuove norme sulla ‘sicurezza’ sembrano il migliore alleato dei contrabbandieri di carne umana, specialmente quella delle donne da gettare sulle strade giorno e notte. Con tali norme “Il sistema di accoglienza e inclusione è stato di fatto smantellato. In passato – ricorda la religiosa – riuscivamo a lavorare con le istituzioni statali e, ad esempio, le autorità nigeriane. Così si potevano programmare e finanziare anche i rimpatri assistiti”.
Ma queste organizzazioni non controllavano solamente i grossi traffici, ma pure quelli minuti, vale a dire quello dei questuanti ai semafori e dinanzi ai supermercati, e anche da essi pretendevano il “pizzo” sui loro miseri guadagni, un compenso mensile di 200.euro o e altri servizi.
Da queste attività negli ultimi anni le gang nigeriane hanno incassato fiumi di danaro, solo nel 2018 le rimesse verso la Nigeria sono state di circa 80.milioni di euro, il doppio di quelle del 2016.
Per tornare alla realtà locale, poco importa se dietro gli stazionamenti ai semafori, ai bar o dinanzi ai supermercati ci sia la mafia nigeriana, o senegalese, o la delinquenza locale; sempre di delinquenza si tratta e non è mai tardi per metterci mano e individuare capi e gregari, liberando così il territorio da una piaga che potrebbe assumere dimensioni più preoccupanti.
Qualche decennio fa, grazie all’opera costante e tenace di un Assessore alla sicurezza, all’epoca del Sindaco Gravagnuolo, anche questo fenomeno nella nostra città era completamente scomparso; ma gli “agnostici”, per non definirli diversamente, lo ostacolarono in tutti i modi, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.