Il viaggio di Ulisse on line con le interviste sulla città incontra oggi un ex amministratore comunale molto stimato per le sue dote di equilibrio, ma anche per le sue competenze. Stiamo parlando di Nicola Santoriello, una persona perbene, schiva, assai apprezzato per la sua mitezza e moderazione, particolarità queste ultime che, però, non gli hanno mai impedito di dire la sua con franchezza e chiarezza.
In questo senso, nell’intervista pubblicata oggi da Ulisse, Nicola Santoriello non si smentisce. E’ tutta da leggere. Noi, per comprensibili ragioni di spazio, evidenziamo solo qualche passaggio.
Ad esempio, tanto per cominciare, non può non essere sottolineato quello che lui ritiene uno dei mali della città, ovvero un “conservatorismo di fondo che impedisce alle pure frequenti iniziative innovative che nascono in città di fare sistema e di durare nel tempo”. E come dargli torto. Così come quando denuncia che è proprio lo spirito identitario, nostro punto di forza, a rivelarsi paradossalmente anche un limite, in quanto “spesso induce ad atteggiamenti autoreferenziali e nostalgici, che ha impedito la piena presa di coscienza dei cambiamenti prodotti dallo sviluppo economico della provincia”.
Ad una analisi così puntuale non c’è da aggiungere alcunché. E lo stesso vale per quello che Santoriello ritiene una piaga cittadina da curare: “Il profondo scetticismo nei confronti di chiunque voglia apportare dei cambiamenti, mentre va debellata la subalternità nei confronti del potere e di quello politico in particolare”. A dirlo è uno come lui che ha fatto politico ed è stato per anni amministratore comunale. Non ci resta, quindi, che umilmente sottoscrivere.
E ai politici cosa consiglia? “Di avere le gambe ben piantate in città cioè di ascoltare l’umore profondo dei cavesi, ma di avere la testa fuori dalla città, cioè di guardare oltre, nell’interesse generale. Il nostro maggiore nemico siamo noi stessi”. Bellissimo insegnamento, semplice, asciutto, ma straordinariamente efficace, lungimirante, veritiero.
Fermiamoci qui e concludiamo con la definizione di Cava come città incompiuta. Sì, perché la nostra incompiutezza è figlia del nostro essere indefiniti e incerti in quelle che dovrebbero costituire in prospettive le linee di sviluppo, individuando così i nostri asset, le nostre risorse. In una parola, come rileva Nicola Santoriello, noi cavesi rischiamo di continuare a perdere la consapevolezza delle nostre potenzialità. Un lusso, ma anche un peccato, che non possiamo consentirci soprattutto per non negare un futuro alle nuove generazioni.