Cava de’ Tirreni, il buonismo urticante del sindaco Servalli e la colpevole ignavia dei cavesi
La circostanza che ci sia una frattura tra i cavesi, nel loro vissuto quotidiano, e tutta la rappresentanza politica, è ormai un dato
Al solito Maria Di Serio riesce con estrema chiarezza e semplicità ad essere molto incisiva ed acuta, finanche tagliente. E’ quello che emerge dall’intervista pubblicata oggi dal nostro giornale.
Le considerazioni formulate da Maria Di Serio sono, per chi scrive, condivisibili in toto.
La circostanza che ci sia una frattura tra i cavesi, nel loro vissuto quotidiano, e tutta la rappresentanza politica, è ormai un dato acclarato.
Maria Di Serio chiarisce poi molto bene cosa comporti lo spirito della rappresentanza. E cioè ascoltare i cittadini, interpretarne i bisogni, dare risposte rapide e concrete. Di sicuro non significa limitarsi ad essere presente tra gruppi di elettori. Questo vale per l’attuale classe politica cittadina. Nella sua interezza.
Certo, la frattura più evidente e per certi versi drammatica è quella che si constata nell’ascoltare i sermoni pronunciati in presenza o in video dal sindaco Servalli. Si ha l’impressione, per davvero alienante, di un primo cittadino che racconta di una città diversa da quella reale. E cioè, la nostra, Cava de’ Tirreni.
Quella di Servalli è una narrazione irritante oltre che fuorviante. Si racconta di una città che va avanti, che cresce e progredisce, con dei buoni risultati ottenuti… In uno dei suoi ultimi messaggi, quello augurale per il il nuovo anno, intriso di un urticante buonismo, ha indicato, tra l’altro, come assi portanti della sua azione amministrativa l’innovazione, l’ambiente e l’inclusione. Se i cavesi avessero l’anello al naso forse neanche ci crederebbero. La realtà quotidiana che vivono i cittadini metelliani è, purtroppo, un’altra. L’abbiamo evidenziata in diverse occasioni. E’ superfluo farlo anche adesso.
La frattura con la città, ovviamente, riguarda non solo Servalli e la sua passiva e scialba maggioranza, ma anche l’opposizione. Incapace, quest’ultima, soprattutto di indicare un progetto alternativo di città tale da toccare i cuori dei cavesi, i quali, però, restano assenti, rassegnati, persi in un egoismo utilitarista, fino a cadere in una colpevole ignavia.
La verità, purtroppo, è che noi cavesi rischiamo seriamente di essere annoverati tra “l’anime triste di coloro/che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”, così come il Sommo Poeta definisce gli ignavi nel Canto III dell’Inferno. Condannati ad un triste destino: “Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.
In conclusione, la domanda che dobbiamo porci è questa: noi cavesi siamo fieri dei nostri avi, per quello che hanno fatto e ci hanno lasciato in eredità, i nostri nipoti saranno altrettanto orgogliosi di noi?