Verso il nuovo governo: le sgrammaticature di Silvio Berlusconi
Verso il nuovo governo: le sgrammaticature di Silvio Berlusconi
All’antivigilia dell’inizio delle consultazioni dei gruppi parlamentari convocate dal Presidente della Repubblica per la formazione del nuovo Governo, Silvio Berlusconi è ridisceso in campo con tante parole che hanno messo in fibrillazione l’universo politico italiano ed europeo.
Come padre putativo del centrodestra ne ha minato la credibilità sulla capacità di dare vita ad una maggioranza di governo affidabile. In due giorni ha fornito ai media due versioni sui rapporti con Giorgia Meloni, Premier in pectore, dal faccia faccia di Via della Scrofa, sede di FdI, alle esternazioni da lui rese agli eletti di FI a Montecitorio con le quali si rimettono in discussione gli equilibri, per pari dignità, con la Lega nella attribuzioni degli incarichi ministeriali, si ripropone la questione dell’attribuzione del Dicastero della Giustizia e si suscitano pensieri ambigui sui rapporti con Putin.
Si tratta di dichiarazioni non rese in pubblico ma all’interno del Gruppo di FI. Qualcuno le ha fatte uscire all’esterno, a bella posta o carpite sono un inciampo sul cammino per l’investitura di Giorgia Meloni da parte del Presidente della Repubblica.
Al di là dei contenuti, alle smentite e ritrattazioni si aggiunge un linguaggio poco elegante, da parte del Cavaliere, nei confronti della leader di FdI, “la signora Meloni”, quando, per sottolinearne il rapporto di conoscenza ed intesa, specifica che “il suo uomo lavora a Mediaset”.
Parole in libertà o meditate, comunque inopportune sul piano della lealtà delle relazioni con la partner politica con la quale è aperto un confronto sulla formazione del futuro Governo. Forse è questo il passaggio più irritante per Giorgia Meloni, se visto ed interpretato come una sorta di risposta alla sua affermazione di non essere “ricattabile”.
Resta aperto l’interrogativo sul senso di un botta e risposta o di un avvertimento. La contesa innescata da Berlusconi riguarda il Ministero della Giustizia, per la cui casella egli preferisce l’ex Presidente del Senato Elisabetta Casellati (FI) al posto di Carlo Nordio (FdI). Si comprendono le ragioni del braccio di ferro su una rivendicazione suscettibile di contestazioni se non per conflitto di interessi certamente per l’etica che si deve nella gestione delle istituzioni.
Sul punto si è consumato anche uno sgarbo sia nei confronti di Giorgia Meloni che degli altri partner della costituenda maggioranza nel rendere pubblica una lista di Ministri prima ancora che venisse sottoposta al Presidente della Repubblica: forzatura inusuale se compiuta da un ex Premier che del galateo istituzionale ha conoscenza consolidata in più esperienze di investiture per Palazzo Chigi. Perciò, si capiscono il silenzio, prima, e la furia, dopo, di Giorgia Meloni di fronte ad esternazioni avvertite come imposizioni o come avvisaglie di trappole sul percorso per la sua investitura per la quale contano, soprattutto, le credenziali di coesione e di coerenza sulla linea di politica estera.
Ed anche su quest’ultimo argomento, nonostante le precisazioni di FI sulle alleanze europee ed atlantiche, non possono non pesare, in costanza della guerra in Ucraina, le parole di Berlusconi sulla sua ritrovata amicizia con Putin e sulle responsabilità di Zenlessky nell’innesco della guerra in Ucraina.
Argomento sul quale Giorgia Meloni pretende compattezza di tutte le forze politiche del centrodestra a sostegno dell’Ucraina ed a fianco dell’Alleanza Atlantica senza alcuna ambiguità a costo di non fare il Governo.
Ora è da capire su quali obiettivi si sostanzia l’insieme delle suddette sgrammaticature sfuggite o suggerite il giorno dopo la Canossa di Via della Scrofa e della nomina, voluta da Berlusconi e dai falchi di FI alla guida dei gruppi parlamentari di Camera e Senato.
Di certo c’è la frattura tra governisti e contestatori o insoddisfatti. Tra quest’ultimi c’è Licia Ronzullo, protetta da Berlusconi e scartata da Giorgia Meloni per la composizione della lista dei ministri. Da capogruppo al Senato avrà un peso specifico e di influenza nella composizione delle commissioni legislative e nella conduzione dei lavori d’aula.
Si intravede un segnale di guerriglia o di appesantimento per i lavori parlamentari a sostegno del possibile Governo targato Meloni. Tutto questo può accadere, se non ci sarà un cambio di rotta, dopo la formale manifestazione di unità di intenti di fronte al Capo dello Stato.
Buona fortuna Italia.