«E-le-zio-ni, e-le-zio-ni» gridava sabato scorso il popolo della destra italiana a piazza San Giovanni di Roma. Le elezioni non ci saranno, lo sanno bene anche loro. La legislatura in corso non decadrà prima della sua scadenza naturale. Voteremo per il nuovo Parlamento – quello dei 400 deputati e 200 senatori – solo nel 2023. Possiamo starne certi. Tra preoccupazioni dei poteri europei per la deriva sovranista dell’Italia in caso di voto anticipato e strizza degli attuali parlamentari di non essere rieletti, chi vuoi che possa spingere per lo scioglimento delle Camere?
Ciò però non vuol dire che il governo reggerà. Anzi. Non hanno neanche cominciato a lavorare che già tra loro se le danno di santa ragione. Di Maio lancia ultimatum, Renzi a chi le dà e a chi le promette, Conte minaccia epurazioni e … Zingaretti somministra camomille a destra e a manca. Questa, è evidente per come ha cominciato, è la caricatura di un governo, a lungo non potrà reggere. Ma perché tanto, precipitoso nervosismo tra partner che hanno appena finito di mettersi d’accordo?
Bisogna ripartire dall’inizio. Ad agosto le Camere non sono state sciolte, come tutti immaginavano, solo perché Matteo Renzi, terrorizzato dalla prospettiva di scomparire dalla vita politica, ha minacciato Zingaretti della scissione se il Pd non avesse fatto un governo con i Pentastellati, da lui stesso considerati fino al minuto prima i peggiori nemici della democrazia italiana. Zingaretti ha ceduto ed il governo si è fatto. Renzi ha evitato il voto anticipato, ha incassato i suoi buoni ministri e sottosegretari, e… ha fatto la scissione!
Il M5S per parte sua ha rallentato l’emorragia di consensi verso Salvini, ha incassato il taglio dei parlamentari – un altro pasticcio propagandistico – ed ora è già scontento del suo stesso governo.
E allora perché hanno dato vita ad un nuovo governo? La spiegazione è banale. Lo scopo della formazione del governo giallo-rosa era di blindare la legislatura e di non tornare a casa. Ottenutolo, nessuno è ora disposto a farsi carico della manovra finanziaria, ineludibile e dolorosa, soprattutto impopolare; pur se il governo giallo-rosa può contare sulla benevola indulgenza dei detentori del debito italiano, FMI e BCE in primis. Se vedete bene, l’oggetto delle polemiche è tutto qui: chi non vuole farsi carico delle tasse, chi non vuole la fine di quota 100 per le pensioni, chi vuole il paese di Bengodi. Nessuno, tranne il povero Zingaretti, vittima sacrificale delle spregiudicatezze altrui, che dimostri un minimo senso di responsabilità.
Di questo passo il governo cadrà a breve. E, atteso che non si andrà al voto, chi subentrerà a Palazzo Chigi? Vuoi vedere che sarà un governo tecnico, che tutti manterranno in piedi per convenienza – con la mitica non-sfiducia – e che farà la manovra del risanamento, assumendosene la responsabilità, consentendo però ai partiti, vecchi e neonati, di fare propaganda sparandogli addosso?
E se il capo di questo governo tecnico si chiamerà Giuseppe Conte?
Fantasie? Può essere, ma verosimili. In fondo l’oste che manca in questo ragionamento è quello che non ha un nome, ma siede al tavolo e dà le pietanze: l’attaccamento alle poltrone di ministri e sottosegretari.