Abusivismo edilizio, abbattimenti e sanatorie
Tra i tanti illustri sconosciuti che si aggirano nelle sale di Montecitorio e di Palazzo Madama ce n’è uno che si chiama Francesco Urraro. Giovane e brillante avvocato del napoletano, senatore della repubblica italiana nelle file del Movimento 5 Stelle, Urraro al Senato è membro della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali e della 2ª Commissione permanente (Giustizia).
Insomma, è uno che di mafie dovrebbe saperne. Nello scorso settembre ha avuto l’infelice idea di mettere il dito nel vespaio dell’abusivismo edilizio ed ha protocollato in Commissione Ambiente un ddl di modifica dell’art. 36 del Testo Unico 380/01. Lo scorso fine febbraio la sua iniziativa è arrivata agli onori delle cronaca nazionale e subito c’è stato il prevedibile bombardamento di invettive nei suoi confronti. Il povero sen. Urraro è battuto subito in ritirata.
Oddio, non è che quel ddl fosse una genialata. Costituito da un solo articolo, se fosse stato discusso ed approvato, avrebbe consentito di accedere alla sanatoria a chi abbia costruito senza concessione edilizia in zone una volta non edificabili, ma ad oggi rese tali da nuovi piani regolatori. Insomma, l’idea non era campata in aria. Come ha sottolineato l’avv. Bruno Molinaro, uno dei maggiori esperti nazionali in materia, è quasi surreale quanto accade oggi: in queste fattispecie, l’autore di un abuso è costretto prima ad abbattere il manufatto, poi a chiedere e ad ottenere la concessione, che gli è dovuta in quanto il luogo è diventato edificabile, quindi a ricostruirlo così com’era prima. Non sarebbe più semplice aumentare il peso della sanzione pecuniaria ed evitare di far disfare e rifare la stessa casa? Però, però, nel ddl Urraro si aggiungeva che avrebbero potuto ottenere il condono anche quanti dovessero edificare oggi in zone non edificabili, se queste, un domani, dovessero essere rese edificabili da nuovi strumenti urbanistici. Una cosa abnorme! In pratica si diceva: “Ognuno costruisca dove e come vuole, poi faccia pressione sul proprio consiglio comunale affinché modifichi il piano regolatore”.
Giustamente lo stesso sen. Urraro ha ritirato la proposta. Al di là del merito, il senatore pentastellato ha avuto comunque il coraggio di riproporre all’attenzione del legislatore l’esigenza di mettere mano al tema dell’abusivismo. Nella relazione a supporto del suo Ddl, Urraro, dopo aver ricordato quanto sia complicato per i Comuni ottemperare agli obblighi di legge che impongono la demolizione dei manufatti abusivi, scrive: «Allo stesso risultato concorrono anche […] l’influenza esercitata dalla criminalità organizzata, confermata dall’incidenza che l’abusivismo edilizio ha sulle cause di scioglimento dei Comuni…».
Qui il senatore, a mio avviso, centra il problema. A causa alle difficoltà delle pubbliche amministrazioni elettive, alle quali è delegata l’esecuzione degli abbattimenti, di fatto sui territori ci si muove a casaccio, con sporadici abbattimenti, effettuati senza alcuna regolamentazione delle priorità cronologiche. Ma è come tagliare qualche albero o qualche ramo in una foresta. L’albero tagliato non ci sarà più, ma la foresta resterà lì e presto nuovi alberi la infoltiranno. Ed in queste foreste comandano i poteri criminali. Una nuova disciplina della materia è dunque ineludibile.
Il punto delicato è però l’intreccio tra apertura di una discussione parlamentare e recrudescenza degli abusi. È questo il nodo gordiano che va sciolto. Nel mio piccolo, sommessamente, suggerirei di mettere subito uno stop tassativo a nuovi abusi, prevedendo con un decreto legge sanzioni severissime, fino all’arresto immediato, per chi viene preso con le mani nel sacco – la vigilanza satellitare con l’ausilio eventuale di droni consentirebbe già oggi il controllo capillare del territorio – e subito dopo, una volta impedita ogni recrudescenza dell’abusivismo, aprire la discussione parlamentare volta a definire una nuova legge che prenda atto dei disastri già avvenuti – con la determinante collusione dei pubblici poteri, non lo si dimentichi mai – e vi ponga rimedio sanando laddove sia possibile e restituendo ai comuni la potestà pianificatoria sulle aree di fatto finite sotto il controllo dei contropoteri malavitosi.