Siamo, per fortuna, alle ultime battute di una campagna referendaria che si è rivelata noiosa, bislacca e snervante.
Noiosa, perché parlare per mesi di un referendum di cui in pochi, tranne gli addetti ai lavori (e neanche tutti), conoscevano appieno la questione, è stato davvero pesante. Più che altro si è parlato per slogan, per frasi fatte. In buona sostanza, del merito, ovvero della riforma costituzionale vera e propria si è parlato poco e spesso a sproposito.
Bislacca, perché da subito hanno fatto capire, sia da una parte che dall’altra, che la posta in gioco era il governo Renzi, anzi, lo stesso Renzi, sia come premier che come segretario del PD. Un modo, quindi, a dir poco stravagante per convincere delle proprie ragioni e portare la gente a votare. Alla fine, a decidere sarà la scelta secca pro o contro Renzi. Ed esprimere il voto legandolo al destino di un premier, politicamente caduco per antonomasia, è il massimo della iattura per un referendum costituzionale, e per i cittadini il modo peggiore per accostarsi alla cabina elettorale. Questo, però, è quello che sta avvenendo.
Snervante, perché a un certo punto ci si è sentiti avviliti per davvero nell’ascoltare bugie, promesse, predizioni di catastrofi di ogni tipo, ma anche assistere all’improvvisa resurrezione di tante mummie di un passato politico non troppo lontano, vere e proprie cariatidi per fortuna superate dal fluire della storia, per non parlare poi dei tanti parrucconi accademici e/o politici che hanno voluto farci sapere la loro.
Basta, per carità. Finalmente è finita.
Chi vincerà? Mah, difficile dirlo. Negli ultimi sondaggi, diffusi una quindicina di giorni fa, il NO era in vantaggio, ma è preferibile essere cauti e attendere lo scrutinio. Le ultime figuracce rimediate dai sondaggisti sia d’oltremanica, è il caso della Brexit, che d’oltreoceano, è il caso della vittoria di Trump, consigliano prudenza. Stiamo a vedere.
L’impressione, però, è che in ogni caso, che vinca il SI o il NO, a perdere sia il nostro Paese che, da questa consultazione, esce diviso, spaccato. A dimostrazione che le riforme costituzionali, al di là della loro bontà o meno, vanno condivise il più largamente possibile, perché la divisione non rappresenta mai un bene, figurarsi in un Paese complicato come il nostro. E questa campagna elettorale, dai toni così accesi, aspri, fuorvianti, lo dimostra appieno. Altro che confronto. In questi ultimi mesi è stato messo su uno scontro politico durissimo che non si vedeva da tempo.
A questo ragionamento si può, in modo più che plausibile, obiettare che voler ricercare un’ampia condivisione significa di fatto non voler per nulla riformare la Carta Costituzionale. Potrebbe essere davvero così, ciò non toglie che una riforma costituzionale a colpi di maggioranza governativa il Paese lo divide e non porta gli elettori a decidere in un clima di serenità e sgombro da eccessivi condizionamenti, com’è, invece, avvenuto adesso. E non va affatto sottaciuto il fatto che comunque, il giorno successivo al voto, questo Paese comunque bisognerà continuare a governarlo nel migliore dei modi possibili e in un contesto politico accettabile.
In conclusione, questa nostra Italia era ed è già abbastanza frammentata e scollata, ma da lunedì prossimo, in ogni caso, lo sarà ancora di più. Avremmo bisogno, soprattutto come classe politica, di una ricomposizione dei valori così come avvenne, grazia anche a grandi leader, prima fra tutti De Gasperi e Togliatti, nell’immediato secondo dopoguerra agli albori della Repubblica, quando il Paese stremato, distrutto, affamato, si ritrovò unito nella ricostruzione post-bellica.
Ora, la maggior parte dei nostri politici, ma non solo loro purtroppo, la guerra ce l’hanno in testa.