“Tre songo‘e putiente: ‘o Papa, ‘o Rre e chi nun tene niente”
E’ una intervista molto bella e di spessore quella rilasciata al nostro giornale dal capogruppo consiliare del Pd cavese Giuliano Galdo e che oggi pubblichiamo. A larghi tratti è pure assai condivisibile, anche per la profondità dell’analisi oltre che per la chiarezza espositiva. Tuttavia, emergono talune certezze, di sicuro anche in ragione del ruolo di rilievo e di responsabilità politica di Galdo, che per noi, esterni al palazzo, non sono tali.
Tanto per cominciare, non ce la sentiamo di escludere che, magari non nell’immediato, a causa della disfatta elettorale del Pd non ci possano essere dei contraccolpi in sede locale, in particolare, nell’assetto amministrativo espresso dall’attuale maggioranza. D’altronde, Galdo mette le mani avanti, affermando che comunque è già deciso che ci sarà qualche rivisitazione in corsa. Vediamo di che natura e di quale portata sarà.
E’ vero che in politica sono spesso annunciati funerali senza però il morto, tuttavia, l’impressione che per De Luca sia iniziata la parabola discendente è molto forte e nutriamo più di un dubbio che il figlio, neo deputato, possa in prospettiva diventare un vero punto di riferimento politico. Sarà pure preparato, ma resterà sempre il figlio di, e la sua parabola potrebbe riflettere quella dell’illustre e potente genitore. D’altronde, la proporzione della debacle elettorale nel collegio di Salerno, che comprende anche la nostra città, è tale che non può essere rubricata quale incidente della storia. I grillini avranno avuto pure dei meriti, ma ha inciso, e non in modo scarsamente rilevante, anche altro, come, tanto per essere chiari, una evidente e radicata insofferenza verso il potere deluchiano nella stessa area del centrosinistra.
E ancora. Galdo sostiene che il voto di domenica scorsa degli italiani non sia stato di protesta. Qualche dubbio in proposito l’abbiamo. Gli italiani hanno votato contro Renzi, contro il Pd, contro ciò che ha incarnato, nel bene e nel male, il governo, il potere. Gli italiani erano e sono talmente incavolati che non hanno visto o apprezzato il lavoro fatto dai governi di centrosinistra nella passata legislatura, al contrario, l’hanno bocciato a prescindere. Se questo non è un voto di protesta, cosa è? Al più potremmo parlare, per una parte di elettorato, di un voto dettato dal rancore, ma ciò è anche peggio. D’altra parte, nel Paese è diffusa la convinzione che ci siano un bel po’ di privilegiati, in primo luogo i politici ad ogni livello e la classe dirigente in generale e nel suo insieme, e chi invece, la maggioranza dei cittadini, è costretto a tirare la cinghia e su cui è stato gettato il peso dei sacrifici (a cominciare dalla riforma Fornero delle pensioni) per risanare l’economia nazionale e le finanze pubbliche, o peggio le malefatte di alcune banche, salvaguardando però la posizione dei privilegiati. E’ la protesta che vede protagonista il ceto medio, ovvero la maggioranza degli italiani, impoverito e impaurito ma anche massacrato in questi ultimi dieci anni (non a caso a subire il collasso elettorale è tanto il Pd quanto FI oltre la defintiva scomparsa di un’area centrista). E’ la protesta della stragrande maggioranza dei giovani, dai ventenni ai quarantenni, senza lavoro o vittime del precariato quasi a vita e dell’incertezza sul futuro. Un dramma umano, questo, cui il Pd renziano non è riuscito a dare risposte convincenti e risolutive sebbene, è onesto riconoscerlo, non sono mancati gli sforzi e i tentativi anche se talvolta mal riusciti o gestiti da cani, soprattutto a livello ministeriale, com’è il caso della Buona Scuola.
Quella che stanno vivendo gli italiani è forse una percezione sbagliata o un tantino esagerata della realtà? Forse. La verità, però, in un simile contesto socio-politico, è che è troppo facile parlare di populismo e di derive demagogiche. Bisogna ficcarsi in testa che è diffusa e per nulla campata in aria la percezione che nel nostro Paese ci sia una minoranza che sta bene e se la gode, e una maggioranza che vive, in diversa misura e intensità, le difficoltà, si sente minacciata, non nutre speranze per un futuro migliore, anzi, teme di perdere anche quel poco che adesso ha. E quindi, per questo, ritiene di non aver nulla da perdere, ma tutto da guadagnare da qualsiasi stravolgimento politico-economico, anche in sede internazionale.
Sarà pure un atteggiamento politico sbagliato, imprudente e avventato, ma oggi sembra essere assai di attualità un antico e graffiante detto napoletano: “Tre songo‘e putiente: ‘o Papa, ‘o Rre e chi nun tene niente”. E sono troppi gli italiani che, forse anche a torto, ritengono di non avere nulla da perdere. Il guaio è che la sinistra, e quella Pd più di tutte le altre, non sembra affatto in grado di dare risposte politicamente adeguate e convincenti a questo popolo di “disperati”.
In altri termini, stando così le cose, per il Pd di Giuliano Galdo nel prossimo futuro non si annuncia niente di buono, anzi.
Concludendo, a cinquant’anni dalle contestazioni del Sessantotto, ha preso piede una protesta diversa nei contenuti e nelle modalità, ma che nel nostro Paese potrebbe avere effetti ben più rilevanti se non addirittura devastanti. In fondo, mezzo secolo fa, uno degli slogan era il marcusiano “la fantasia al potere”, oggi, invece, è tutto da capire quale termine sia da affiancare a quello di “potere”. Ai lettori la scelta del vocabolo che più di ogni altro si ritiene essere ora più calzante nel connotare il potere. Insomma, sollecitati da un redivivo Marcuse, sforziamoci di immaginare, pensando a Di Maio, Salvini e così via, cosa meglio definirà il potere da oggi in poi. Vediamo un po’: l’audacia al potere, o l’intelligenza al potere, magari la competenza al potere, e perché non l’onestà al potere, ma anche l’ignoranza al potere, o l’incompetenza al potere…
Basta così. Ora tocca ai lettori. Il gioco inizi!