Il segnale è forte e chiaro. Gli italiani mal sopportano l’arroganza di chi non ascolta e non accetta consigli, soprattutto, su come comportarsi. Nel “No” che è prevalso nel voto referendario c’è questo ed altro.
La sua vittoria sul “Si” non è ascrivibile ad alcuno dei partiti o delle forze della cosiddetta “accozzaglia”, come Matteo Renzi ne ha definito il loro concerto di tesi e di opzioni contro il progetto di riforma costituzionale. Al di là dell’incoerenza dei contenuti con lo spirito politico e culturale che ha dato origine alla Carta costituzionale del 1948, non ha giovato all’idea legittima di aggiornamento la discesa in campo di “badanti” del mondo della finanza e dei media da loro controllati.
Ha contribuito alla spallata contro anche l’uso spregiudicato di promesse di finanziamenti pubblici da parte del Governo in favore di realtà territoriali emarginate e neglette nel contesto delle prospettive di sviluppo e crescita nazionale. L’omogeneità di comportamento degli elettori, da Nord a Sud, riscatta il sentimento di protesta di chi vive nel disagio, non solo economico, senza un’idea di futuro.
Perciò, il “No” non può essere archiviato come espressione di “populismo” e per quanto riguarda il Mezzogiorno, e la Campania in particolare, smentisce anche l’idea che il suo elettorato sia vocato al “voto di scambio”. Sono stati battuti i tentativi, veri o presunti, di chi aveva puntato sulla fame di soldi e di opere pubbliche per condizionare la libera scelta di un voto. Né hanno funzionato le prediche dei nuovi “Maestri del Tempio” sull’apocalisse prefigurata nel caso di bocciatura della riforma proposta a Referendum. Come dire che la coscienza o il sentire degli elettori non è merce di scambio, né è condizionabile con le paure argomentate dall’establishment dei poteri costituiti.
E non è la prima volta che vengono battuti dagli elettori italiani. Nel 1953, per esempio, non scattò la legge elettorale, cosiddetta truffa, che avrebbe assegnato la vittoria ad una coalizione di partiti sulla base di un premio di maggioranza. La sconfitta non fu opera di una “accozzaglia”, né fonte di catastrofe economica e politica. Si tratta di un ricordo, al di là delle diversità di contesto, da tenere presente nell’analisi della volontà popolare che non può essere classificata di “testa” o di “pancia”, a seconda delle convenienze intellettuali di chi ragiona nei salotti del “principe”. Se ne prende atto e si procede senza tornare in dietro.
Perché, in democrazia non vale il gioco dell’oca.