Sulla manovra economica l’Italia non convince l’Europa: Austria e Olanda chiedono la procedura d’infrazione
La scelta di non arretrare sul progetto di bilancio già respinto da Bruxelles scatena i ‘falchi’, che premono per una risposta altrettanto rigida dell’Europa. La decisione spetta alla Commissione, chiamata il prossimo 21 novembre a dare la sua opinione definitiva.
Non basta il tentativo di rassicurare l’Europa con la promessa di interventi rapidi se si dovesse andare fuori rotta. La scelta dell’Italia di non arretrare sul progetto di bilancio già respinto da Bruxelles scatena i ‘falchi’, a partire da Olanda e Austria, che aprono le ostilità e premono per una risposta altrettanto rigida dell’Europa: una bocciatura senza appello per la manovra che non porta crescita e anzi, rischia di destabilizzare l’intera area euro, e l’apertura della procedura di infrazione.
A chiederlo sono quelli che “la procedura la invocano da anni”, minimizza il vicepremier Luigi Di Maio, mentre l’altro vicepremier Matteo Salvini sfoggia l’usuale “non ci muoviamo di un millimetro”. Fatto sta che lo spettro della procedura diventa sempre più concreto, e si ripercuote sui mercati, con Piazza Affari peggiore in Europa e lo spread che si riaccende, fino a sfiorare i 317 punti base.
Le critiche di Amsterdam e Vienna (e con la Germania a insistere sul rigore fiscale) sono pesanti, e sono solo l’antipasto di quello che aspetterà il ministro dell’Economia Giovanni Tria lunedì prossimo, quando è fissato un Eurogruppo straordinario. In agenda la riforma dell’Esm, ma è altissimo il rischio che la riunione si trasformi in un ‘processo’ all’Italia, a due giorni dal ‘verdetto’ finale di Bruxelles.
Non è “affare interno italiano, ma europeo”, scandisce il ministro delle finanze di Vienna Hartwig Loeger, accusando “il governo populista italiano” di “tenere in ostaggio il suo popolo” e invocando il rispetto alla lettera delle regole. “Poco sorprendente ma molto deludente” la scelta italiana, gli fa eco la collega olandese Wopke Hoekstra esprimendo la “preoccupazione” che serpeggia nel consesso dell’eurozona.
La decisione, comunque, dovrà adottarla la Commissione, chiamata il prossimo 21 novembre a dare la sua opinione definitiva. E il clima lo descrive bene Valdis Dombrovskis, che parla di piani “controproducenti” per l’economia, ricordando che già ora “i tassi d’interesse sul debito sovrano sono una volta e mezzo più alti di un anno fa”. A pagare, insomma, saranno i cittadini italiani secondo il vicepresidente della Commissione, mentre il suo collega Andrus Ansip ricorda che “quando si è nella famiglia dell’Eurozona bisogna rispettare le regole”.
A poco, insomma, sono serviti i ritocchi proposti da Roma nel nuovo Documento programmatico di bilancio e l’impegno esplicito a “rispettare i saldi” e a considerare come “invalicabile” il deficit al 2,4%, pronti comunque a “intervenire tempestivamente” in caso di scostamenti come previsto peraltro dalla riforma delle regole sul bilancio dello Stato. Il piano di privatizzazioni da 18 miliardi in un solo anno è giudicato da tutte le opposizioni come irrealizzabile e in ogni caso, spiega il presidente della commissione economica del Pe Roberto Gualtieri, non inciderebbe “sul deficit strutturale”, quello che mostra se un Paese sta effettivamente facendo uno sforzo sull’aggiustamento dei conti. Il ‘cuscinetto’ di cui parla Tria, frutto di stime basate sul tendenziale senza tenere conto della ‘retroazione’ dellamanovra, sempre secondo le opposizioni, resta tutto da verificare, e comunque sarà assorbito dalla minore crescita che invece il governo insiste a prevedere all’1,5% per il 2019.
Resta lo slittamento delle due misure ‘bandiera’ del governo gialloverde: nel Dpb si dice chiaramente che reddito di cittadinanza e pensioni non saranno “a efficacia immediata” ma da definire con successivi collegati. Forse l’unica carta ‘vincente’ che Tria potrebbe giocare, ma che deve fare i conti con l’ostinazione dei due azionisti di maggioranza. Quota 100 “partirà subito”, si era affrettata a dire la Lega quando ancora doveva essere diffusa la risposta ai rilievi Ue, mentre Di Maio è tornato ad insistere sulla partenza “a febbraio” per le pensioni e “a marzo” per il reddito, da approvare via decreto legge entro la fine dell’anno. (fonte Confcommercio)